SULLA LEGGE COMUNALE E PROVINCIALE
Di Carlo Cattaneo, tratto da Scritti politici ed epistolario. vol III, pp. 74-97. |
Vediamo
quali siano le parti dell'antica istituzione comunale che la nuova legge
deve restituire ai popoli i quali n'ebbero già per più generazioni il
beneficio, facendone giusto dono a tutti gli altri. Se si
comincia dall'istituzione stessa dei comune si può per le cose premesse
asserire che la fondamentale opera istorica di propagare questi organi
vitali sull'intera superficie dell'Italia e delle isole non debb'essere più
lungamente indugiata per fallaci dottrine o per ambizioni officiali.
Troppo strano è il fatto che dopo tremila anni di civiltà, questa terra
d'Italia debba giacere ancora qua e là largamente inabitata, ispida,
infesta di febbri e di ladroni. Non è un'imaginaria
fertilità che fra tante invasioni straniere diede alle alte montagne e
profonde ghiaie della Lombardia più di tre milioni d'abitanti; ma è
soprattutto il fondamentale impianto dell'azienda pubblica, in cui fu
sagacemente considerata e provvidamente rispettata la libertà comunale.
Alle stesse condizioni, l'intero regno potrebbe, in ragione di superficie,
esser popolato di quaranta milioni! Anzi è agevole a dimostrare come
molte regioni d'Italia e delle isole siano per fatto naturale ben più
favorevoli alla agricoltura e immensamente più ancora alla navigazione. In segno a
codesta libertà, se il comune, anche in angusta superficie, potrà esser
popoloso, tanto meglio. Ma dove potrà esser solo di poca gente, o avrà
più caro di fare quietamente entro il suo cerchio gli interessi suoi,
sarebbe nemico del pubblico bene chi gli ponesse impedimento. Folte o rare
che le popolazioni siano, sempre saranno meno neglette le terre e meno
rozze le famiglie, dove la provvidenza comunale sia più vicina, e dove
gli interessi domestici del magistrato siano più intimamente legati a
quelli del suo popolo. Io non mi
stancherò dunque di ripetere, che la legge non deve piantar termini di
minime o massime popolazioni e farne pretesto di accentrazioni violente.
E penso che questo consiglio dovrebbe riescir più accetto in quanto su di
ciò eguale riserva si riscontra nell'abolita legge di Pompeo Neri e nella
vigente legge Pinelli. Io prego
adunque che non si aggiunga a questa legge anche quel male che
fortunatamente non ha. Si lasci libero corso a quello spontaneo moto che
conduce ad una equabile diffusione delle franchigie amministrative. Si rispetti
in ogni più modesto popolo quella natural dignità che lo porta a
disporre di sé piuttosto a suo genio che a senno altrui, e ad esser
tenuto valere in ogni cosa quanto i suoi vicini: l'esempio, l'imitazione,
l'emulazione, la stessa invidia faranno ben più a pareggiare le
condizioni dei vicini, che non farebbe una dipendenza sdegnosa e
ricalcitrante! E anche
questo sarà un elemento di pace e d'amicizia! E ne avremmo ogni dì
maggiore bisogno. Io dico che
con questa sola condizione generale si apre la via d'una ignota prosperità
in Sardegna, in Calabria, in Lucania, in Apulia, in Umbria, in Maremma e
dovunque la mano degli uomini non risponde ancora alla fertilità della
terra. E dico che
operando al contrario si affliggeranno inutilmente popolì generosi; e si
promoverà quella reazione che troppo bene fu preparata colla sovversione
di tutte le consuetudini, colla guerra fatta confusamente al bene e al
male, senza un vantaggio popolare che compensi il turbamento e
l'umiliazione. Io non so
come gli amici della libertà non si avvedano che la facoltà d'accentrare
per forza i comuni, ossia di sottomettere i meno docili ai più
ossequiosi, sempre più aggravi quella servitù che già pesa in tanti
modi sulla nazione, tostoché si consideri schierata nei suoi comuni. E ai
ministri medesimi dirò che poco ìnvidiabile è quello stato di perpetua
tempesta in cui vivono, senza avere adequato conforto nell'estimazione dei
popoli. Ma parmi ben invidiabile la facoltà, ch'essi non si accorgono
avere, di rendere il nome loro incancellabile nei modesti annali della
pubblica prosperità, e caro alla memoria dei savii e dei buoni, come
sempre più sarà di generazione in generazione quello di Pompeo Neri. Ecco
adunque come si possa finalmente dar principio vero a quel dicentramento
di cui molti si credono, e tutti si vantano, d'avere unanime desiderio, ma
di cui nessuno ha trovato ancora la prima parola. E intanto ogni nuova
legge è un altro passo sullo stesso pendio. Che se per accentramento i più
intendono l'universale diluvio egli affari nelle scrivanie e a capitale,
io credo doversi con tal nome dinotare non meno il forzoso intralcio degli
interessi di smisurate superficie in un solo comune. Espresso o tacito, il
più efficace provvedimento di qualunque nuova legge comunale sarà
questo: assicurare la più libera diffusione del diritto municipale su
tutta la superficie dell'Italia. Dalla
libera istituzione del comune, vengo alla libertà e parità de' suoi
membri. Nella legge
Pinelli il comune, al di fuori, è una servitù; al di dentro, è un
privilegio di chi paga cinque franchi d'imposta diretta come se le altre
non fossero imposte. E lo è
solamente finché il comune non superi tremila anime; e divien privilegio
di chi paga dieci franchi, appenaché lo stato d'anime in quel medesimo
comune diventi di tremila ed una. Qual colpa
ne ha l'antico votante da cinque franchi, perché debba vedersi tolto da
oggi a dimani il suo voto? Aggregate i
suburbii alle loro città, come la nuova legge dispone; la scala
dell'imposta può salire di grado in grado fino a venticinque franchi,
secondoché sarà per crescere la cifra di popolazione del nuovo comune. Centinaia
di onesti operai, forse qualche onesto letterato, diventano iloti nel
comune accentrato; e tante più centinaia, quanto più grande sarà la
voragine che l'inghiotte. Per una finzione, il diritto d'intere classi, la
loro capacità, l'intelligenza, la probità, l'onore, si suppongono
variare collo stato d'anime, col numero dei legittimi e con quello dei
bastardi; variano di anno in anno, variano di campanile in campanile,
dipendono da un'anima; dipendono da un soldo! Queste sono
leggi che fanno disprezzare tutte le altre. E fanno
peggio: la maggioranza dei cittadini si sente messa fuori della legge nel
suo comune nativo. Questa dunque e' la sua porzione d'indipendenza, la sua
porzione d'Italia? Il regno ch'essa fece col suo voto la scaccia dal suo
comune! Nell'antica
legge, i nullatenenti erano tutti eguali in tutti i comuni, qualunque
fosse quivi lo stato d'anime. Pagavano il testatico; una porzione di esso
appartiene al fisco, un'altra al comune, ma questa si pagava solamente
quando le altre imposte non avessero bastato a compiere tutte le spese
deliberate e approvate. E nondimeno, anche prima di pagare, e quando era
ancora incerto se avessero a pagare, essi eleggevano a suffragio
universale un quinto deputato che difendesse nel seno della deputazione
municipale quel loro diritto d'eventuale immunità, e vigilasse perché
l'obolo dell'operaio non fosse speso senza che vi fosse il legale bisogno
di spenderlo, e ad ogni modo fosse speso come si doveva. Al cospetto
dei comune, e per la porzione di testatico che ad esso apparteneva, la
rappresentanza non era condizionata al pagamento; era condizionata ad una
presunta capacità di pagare, ad una certa apparenza di modesta dignità. Questa
legge era fatta da un uomo che aveva anche il senso morale! Che se l'operaio fosse andato a dornicilíarsi in altro comune, portava seco il dovere di pagar l'imposta al nuovo comune e il diritto d'avervi la sua parte di rappresentanza. Insomma, chi fosse pur povero, ma non fosse indigente, nasceva sempre e viveva membro legale d'un qualche comune; era in qualche luogo cittadino attivo e votante. Posto una volta il fatto che i cinque franchi incirca dell'antico testatico, o i cinque franchi della minima imposta presente, fanno giuridica prova che il cittadino è capace d'eleggere i suoi municipali in un comune di trecento anime o anche di tremila, non è più lecito al legislatore di dirgli: « Bada bene che oggi ti giudico degno d'esser cittadino; ma ti avverto che non sarai più degno di dare il tuo voto dimani; imperciocché la patria va prosperando, e gli stati d'anime nei comuni vanno crescendo; e io tengo in serbo una famosa dottrina per la quale, a misura che colla pubblica prosperità cresce il numero degli uomini, debbe scemare il numero dei cittadini, essendoché la prosperità pubblica è un segno legale di degradazione. « Ma ciò
non ti dico per dispregio in che io tenga chi paga solamente cinque
franchi; perocché io faccio giustizia a tutti; e se tu fossi membro d'un
grande comune suburbano e tu avessi voto a condizione di pagare venti
franchi, perché quivi lo stato d'anime potesse quando che sia toccar la
cifra di sessantamila, io potrei bene dimani accentrare il tuo suburbio
colla tua città; e allora tu pagando solamente venti franchi, e non
venticinque, diverresti immantinente cittadino indegno. Imperocché tu sai
come codesto accentramento dei comuni debba fare più luminose le scuole e
più illuminati i cíttadini. E io tengo un'altra famosa dottrina secondo
la quale. coll'aumento dei lumi, deve decrescere il numero degli
ignoranti; e per ciò deve crescere il numero di coloro che non saranno
capaci d'eleggere un consigliere municipale ».
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