ALBERTINO.NET
Albertino Cultura- Carlo Cattaneo
 

SULLA LEGGE COMUNALE E PROVINCIALE

Lettera quarta
8 luglio 1864.

Di Carlo Cattaneo, tratto da Scritti politici ed epistolario. vol III, pp. 74-97.

 

Vediamo quali siano le parti dell'antica istituzione comunale che la nuova legge deve restituire ai popoli i quali n'ebbero già per più generazioni il beneficio, facendone giusto dono a tutti gli altri.

Se si comincia dall'istituzione stessa dei comune si può per le cose premesse asserire che la fondamentale opera istorica di propagare questi organi vitali sull'intera superficie dell'Italia e delle isole non debb'essere più lungamente indugiata per fallaci dottrine o per ambizioni officiali. Troppo strano è il fatto che dopo tremila anni di civiltà, questa terra d'Italia debba giacere ancora qua e là largamente inabitata, ispida, infesta di febbri e di ladroni.

Non è un'imaginaria fertilità che fra tante invasioni straniere diede alle alte montagne e profonde ghiaie della Lombardia più di tre milioni d'abitanti; ma è soprattutto il fondamentale impianto dell'azienda pubblica, in cui fu sagacemente considerata e provvidamente rispettata la libertà comunale. Alle stesse condizioni, l'intero regno potrebbe, in ragione di superficie, esser popolato di quaranta milioni! Anzi è agevole a dimostrare come molte regioni d'Italia e delle isole siano per fatto naturale ben più favorevoli alla agricoltura e immensamente più ancora alla navigazione.

In segno a codesta libertà, se il comune, anche in angusta superficie, potrà esser popoloso, tanto meglio. Ma dove potrà esser solo di poca gente, o avrà più caro di fare quietamente entro il suo cerchio gli interessi suoi, sarebbe nemico del pubblico bene chi gli ponesse impedimento. Folte o rare che le popolazioni siano, sempre saranno meno neglette le terre e meno rozze le famiglie, dove la provvidenza comunale sia più vicina, e dove gli interessi domestici del magistrato siano più intimamente legati a quelli del suo popolo.

Io non mi stancherò dunque di ripetere, che la legge non deve piantar termini di minime o massime popola­zioni e farne pretesto di accentrazioni violente. E penso che questo consiglio dovrebbe riescir più accetto in quanto su di ciò eguale riserva si riscontra nell'abolita legge di Pompeo Neri e nella vigente legge Pinelli.

Io prego adunque che non si aggiunga a questa legge anche quel male che fortunatamente non ha. Si lasci libero corso a quello spontaneo moto che conduce ad una equabile diffusione delle franchigie amministrative.

Si rispetti in ogni più modesto popolo quella natural dignità che lo porta a disporre di sé piuttosto a suo genio che a senno altrui, e ad esser tenuto valere in ogni cosa quanto i suoi vicini: l'esempio, l'imitazione, l'emulazione, la stessa invidia faranno ben più a pareggiare le condizioni dei vicini, che non farebbe una dipendenza sdegnosa e ricalcitrante!

E anche questo sarà un elemento di pace e d'amicizia! E ne avremmo ogni dì maggiore bisogno.

Io dico che con questa sola condizione generale si apre la via d'una ignota prosperità in Sardegna, in Calabria, in Lucania, in Apulia, in Umbria, in Maremma e dovunque la mano degli uomini non risponde ancora alla fertilità della terra.

E dico che operando al contrario si affliggeranno inutilmente popolì generosi; e si promoverà quella reazione che troppo bene fu preparata colla sovversione di tutte le consuetudini, colla guerra fatta confusamente al bene e al male, senza un vantaggio popolare che compensi il turbamento e l'umiliazione.

Io non so come gli amici della libertà non si avvedano che la facoltà d'accentrare per forza i comuni, ossia di sottomettere i meno docili ai più ossequiosi, sempre più aggravi quella servitù che già pesa in tanti modi sulla nazione, tostoché si consideri schierata nei suoi comuni.

E ai ministri medesimi dirò che poco ìnvidiabile è quello stato di perpetua tempesta in cui vivono, senza avere adequato conforto nell'estimazione dei popoli. Ma parmi ben invidiabile la facoltà, ch'essi non si accorgono avere, di rendere il nome loro incancellabile nei modesti annali della pubblica prosperità, e caro alla memoria dei savii e dei buoni, come sempre più sarà di generazione in generazione quello di Pompeo Neri.

Ecco adunque come si possa finalmente dar principio vero a quel dicentramento di cui molti si credono, e tutti si vantano, d'avere unanime desiderio, ma di cui nessuno ha trovato ancora la prima parola. E intanto ogni nuova legge è un altro passo sullo stesso pendio. Che se per accentramento i più intendono l'universale diluvio egli affari nelle scrivanie e a capitale, io credo doversi con tal nome dinotare non meno il forzoso intralcio degli interessi di smisurate superficie in un solo comune. Espresso o tacito, il più efficace provvedimento di qualunque nuova legge comunale sarà questo: assicurare la più libera diffusione del diritto municipale su tutta la superficie dell'Italia.

Dalla libera istituzione del comune, vengo alla libertà e parità de' suoi membri.

Nella legge Pinelli il comune, al di fuori, è una servitù; al di dentro, è un privilegio di chi paga cinque franchi d'imposta diretta come se le altre non fossero imposte.

E lo è solamente finché il comune non superi tremila anime; e divien privilegio di chi paga dieci franchi, appenaché lo stato d'anime in quel medesimo comune diventi di tremila ed una.

Qual colpa ne ha l'antico votante da cinque franchi, perché debba vedersi tolto da oggi a dimani il suo voto?

Aggregate i suburbii alle loro città, come la nuova legge dispone; la scala dell'imposta può salire di grado in grado fino a venticinque franchi, secondoché sarà per crescere la cifra di popolazione del nuovo comune.

Centinaia di onesti operai, forse qualche onesto letterato, diventano iloti nel comune accentrato; e tante più centinaia, quanto più grande sarà la voragine che l'inghiotte. Per una finzione, il diritto d'intere classi, la loro capacità, l'intelligenza, la probità, l'onore, si suppongono variare collo stato d'anime, col numero dei legittimi e con quello dei bastardi; variano di anno in anno, variano di campanile in campanile, dipendono da un'anima; dipendono da un soldo!

Queste sono leggi che fanno disprezzare tutte le altre.

E fanno peggio: la maggioranza dei cittadini si sente messa fuori della legge nel suo comune nativo. Questa dunque e' la sua porzione d'indipendenza, la sua porzione d'Italia? Il regno ch'essa fece col suo voto la scaccia dal suo comune!

Nell'antica legge, i nullatenenti erano tutti eguali in tutti i comuni, qualunque fosse quivi lo stato d'anime. Pagavano il testatico; una porzione di esso appartiene al fisco, un'altra al comune, ma questa si pagava solamente quando le altre imposte non avessero bastato a compiere tutte le spese deliberate e approvate. E nondimeno, anche prima di pagare, e quando era ancora incerto se avessero a pagare, essi eleggevano a suffragio universale un quinto deputato che difendesse nel seno della deputazione municipale quel loro diritto d'eventuale immunità, e vigilasse perché l'obolo dell'operaio non fosse speso senza che vi fosse il legale bisogno di spenderlo, e ad ogni modo fosse speso come si doveva.

Al cospetto dei comune, e per la porzione di testatico che ad esso apparteneva, la rappresentanza non era condizionata al pagamento; era condizionata ad una presunta capacità di pagare, ad una certa apparenza di modesta dignità.

Questa legge era fatta da un uomo che aveva anche il senso morale!

Che se l'operaio fosse andato a dornicilíarsi in altro comune, portava seco il dovere di pagar l'imposta al nuovo comune e il diritto d'avervi la sua parte di rappresentanza. Insomma, chi fosse pur povero, ma non fosse indigente, nasceva sempre e viveva membro legale d'un qualche comune; era in qualche luogo cittadino attivo e votante. Posto una volta il fatto che i cinque franchi incirca dell'antico testatico, o i cinque franchi della minima imposta presente, fanno giuridica prova che il cittadino è capace d'eleggere i suoi municipali in un comune di trecento anime o anche di tremila, non è più lecito al legislatore di dirgli: « Bada bene che oggi ti giudico degno d'esser cittadino; ma ti avverto che non sarai più degno di dare il tuo voto dimani; imperciocché la patria va prosperando, e gli stati d'anime nei comuni vanno crescendo; e io tengo in serbo una famosa dottrina per la quale, a misura che colla pubblica prosperità cresce il numero degli uomini, debbe scemare il numero dei cittadini, essendoché la prosperità pubblica è un segno legale di degradazione.

« Ma ciò non ti dico per dispregio in che io tenga chi paga solamente cinque franchi; perocché io faccio giustizia a tutti; e se tu fossi membro d'un grande comune suburbano e tu avessi voto a condizione di pagare venti franchi, perché quivi lo stato d'anime potesse quando che sia toccar la cifra di sessantamila, io potrei bene dimani accentrare il tuo suburbio colla tua città; e allora tu pagando solamente venti franchi, e non venticinque, diverresti immantinente cittadino indegno. Imperocché tu sai come codesto accentramento dei comuni debba fare più luminose le scuole e più illuminati i cíttadini. E io tengo un'altra famosa dottrina secondo la quale. coll'aumento dei lumi, deve decrescere il numero degli ignoranti; e per ciò deve crescere il numero di coloro che non saranno capaci d'eleggere un consigliere municipale ».

 

 

Sommario

© Angelo Veronesi & Albertino.net