BACKHOMENEXT


I risultati delle elezioni regionali hanno aperto
in Italia una nuova pagina di politica e di storia
Federalismi di ieri e di oggi nell'Europa dei Popoli

di Ettore A. Albertoni

È stato rilevato in sede storica e scientifica che pur essendo il federalismo contemporaneo il frutto costituzionale della Rivoluzione liberale e democratica nord-americana della fine del XVIII secolo, tuttavia l’apporto dell’Europa al riguardo non è stato storicamente ed intellettualmente per nulla trascurabile. Questo contributo europeo al federalismo si è inizialmente manifestato, a partire dal XVI secolo, attraverso la formazione e la circolazione di coraggiose e innovative idee etiche, religiose e sociali prima che politiche. Si trattava di vere e proprie “visioni del mondo” che offrirono la base di principio per le impostazioni dottrinario - politiche e costituzionali di talune esperienze storiche che contribuirono alla formazione di quella concezione della “federalità” - intesa come un nuovo e libero modo di organizzare la Società e lo Stato - che ha rappresentato nella storia europea una linea di pensiero e di progettazione sociale minoritaria ma sicuramente compiuta ed alternativa rispetto all’assolutismo invadente dello Stato che ha sempre più caratterizzato l’età moderna ed ancor più quella contemporanea.
Questo orizzonte intellettuale quanto pratico-politico si costruì nel tempo attraverso eventi diversificati ma che con il loro unirsi e scomporsi diedero vita a quei convincimenti fondamentali ed a quei medesimi comportamenti collettivi che ispirarono e consolidarono la pluralità delle forze e delle istituzioni che ebbero la determinazione ed il coraggio di contrapporsi alla logica ed alla prassi già molto invadenti e tendenzialmente totalizzanti dello Stato moderno.
Per capire in modo chiaro questo processo ideale, storico e politico è evidente che occorre rifarsi ai grandi e traumatici eventi europei rappresentati dalla riforma protestante e dalle connesse guerre religiose, civili e sociali. Ma anche, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti costituzionalistici, alle due rivoluzioni inglesi del XVII secolo con i loro risultati che cambiarono la concezione stessa del potere dello Stato. Metto in primo luogo tra essi l’affermazione della sovranità del popolo come fonte primaria ed esclusiva per la legittimazione del potere politico. Come conseguenza ne è derivata la nascita dello Stato di diritto che dal 1689 in poi ha significato: sottomissione dello Stato all’impero della legge che promana dal popolo in posizione   del tutto paritaria rispetto ad ogni singolo cittadino e ad ogni Comunità sociale o territoriale; divisione, bilanciamento e controllo dei tre poteri statuali tra loro (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario); difesa dei diritti della persona di fronte a qualsiasi abuso da parte delle autorità politiche (habeas corpus).
Nella colonizzazione dell’America britannica - ispirata dalla volontà etica (fortemente individualistica ed insieme anche fortemente comunitaria) delle Chiese non-conformistiche - maturarono certamente la prosecuzione ed il cambiamento in senso radicale di questo processo di liberalizzazione e di disciplina costituzionale del potere che sfociò nella Dichiarazione di indipendenza delle tredici Colonie britanniche del Nord America e nella Costituzione degli Stati Uniti (1787-1791).
Tuttavia il processo storico del federalismo moderno integrò concettualmente tali esperienze inglesi e nordamericane con l’esemplare costruzione delle istituzioni istrionescamente federative della Svizzera e dei Paesi Bassi e con le grandi mutazioni sviluppate dalla prima rivoluzione industriale che fu un dato dapprima inglese e poi europeo continentale prima di diventare, nella seconda metà dell’Ottocento, anche statunitense. Tutto ciò ha rappresentato il terreno ideale che la storia ha selezionato, proposto e coltivato per l’elaborazione e lo sviluppo di quel “patto federativo” specifico che la cultura nord-americana ha chiamato “covenant”. Venne elaborata allora questa originale concezione della Comunità politica come volontaria associazione - spesso con tendenza ad essere perpetua - tra popolazioni o gruppi viventi in regime di autonomia e di autogoverno che - dando vita e realtà a questi accordi - intendevano fissare e conseguire scopi precisi e comuni in condizioni di rispetto delle individualità dei partecipati e di fattiva collaborazione reciproca tra loro.
Quando nel 1953 un maestro negli studi storici come Franco Venturi (1914-1994) precisò il contenuto della “storia delle idee” come indagine e conoscenza critica non solo delle elaborazioni proposte ma anche della “circolazione degli ideali politici e sociali” e della stessa “formazione della mentalità e delle opinioni pubbliche”, colse il dato centrale di quella “tempesta rivoluzionaria” del XVIII secolo cui egli dedicò studi fondamentali e che dapprima sconvolse, e, poi, distrusse, l’assolutismo. La rivoluzione americana con i suoi esiti democratici, liberali e federalistici va letta in un simile contesto, anche interpretativo, giacché fu il prodotto di una realtà originariamente periferica che proprio perché tale era stata in grado di incidere, innovare e costruire colà dove l’antico dominio coloniale di uno Stato costituzionale come era ormai diventata la Gran Bretagna, appariva più debole e vulnerabile. La radice antropologica, umana e quella culturale ed ideale dell’autogoverno libero e pattizio nasceva, però dal cuore stesso della storia intellettuale, morale e politica dell’Europa e dei suoi popoli e nazioni. È opportuno ricordarlo nel momento in cui la “federalità” diventa per l’Europa la prospettiva e risolutiva delle sue crisi odierne. Passando, quindi, alla contemporaneità si può constatare che l’Europa - che fu dominata nel tempo dagli assolutismi delle Monarchie e nel corso del Novecento conobbe i Totalitarismi (comunista, fascista e nazionalsocialista) come manifestazioni culminanti dell’oppressione statale - è diventata oggi essa stessa interprete e realizzatrice di nuove esperienze istituzionali nettamente e modernamente federative. Mi riferisco ad una Europa fatta di popoli - con le loro culture, identità, storie e territori - non come somma degli Stati che la compongono. Non c’è alcun dubbio che all’interno di questa Europa identitaria e comunitaria appaiano tuttora ben radicati e visibili i retaggi storici di quelle aree a sentimenti ed esperienze altamente federativi che già coabitarono nella lunga durata del Sacro romano impero di nazione germanica: Svizzera, Germania e Austria. Va anche aggiunto che quella imperiale è stata un’eredità che si è manifestata anche in nuove espressioni istituzionali fortemente autonomistiche, come la Spagna dal 1978 e, dal 1994, il Belgio. Con la conseguenza che oggi circa un terzo degli Stati dell’Unione Europea sono organizzati in un senso federalistico (Austria, Belgio, Germania, Spagna).
Se si considerano, poi, i cambiamenti che si sono registrati, e che si stanno tuttora registrando, in Europa a proposito della stessa concezione dello Stato nazionale - unificante e centralizzatore, disegnato a suo tempo in modo assai razionalizzato ed efficiente da Napoleone I (1769-1821) - ci si rende conto che dal punto di vista della federalizzazione istituzionale interna degli Stati questo processo di trasformazione si è andato sviluppando soprattutto nei decenni successivi al 1945 dando origine ad una complessa tipologia. Vi sono in essa: rinnovati federalismi (come quello austriaco ma, in parte, anche quello elvetico), nuovi federalismi (come quello tedesco ormai esteso a tutta l’area germanica riunificata), nuovi equilibri federativi etnici e culturali (Belgio), federo-regionalismi di notevole suggestione (Spagna). Nonostante le grandi tradizioni storiche e costituzionali di autonomia e di autogoverno delle aree padane e alpine (basta pensare ai Comuni ed alla grande esperienza della Serenissima Repubblica di Venezia) nella Repubblica italiana c’è stata sinora una versione ridotta e sottomessa di quel semi-federalismo che è stato l’ordinamento regionale senza la devoluzione di poteri legislativi primari e di adeguati mezzi finanziari alle Regioni stabilite nella Costituzione vigente dal 1948. Oggi in Italia la tendenza è stata rovesciata grazie al risultato delle Elezioni Regionali del 16 aprile. La devoluzione è diventata, quindi, un programma politico molto preciso che impegna il Blocco dei federalisti e dei produttori che nel prossimo quinquennio governerà la stragrande maggioranza degli italiani. L’indicazione popolare è stata inequivocabile e coinvolge per ora dieci popolose Regioni su venti. Infatti attraverso il voto popolare anche in Italia il federalismo è ormai uscito dalla dimensione nobilmente culturale in cui era stato relegato storicamente per diventare - con il metodo della devoluzione irreversibile dall’apparato centrale dello Stato alle Regioni dei poteri che appartengono primariamente ed esclusivamente alle Regioni - cultura di governo ed azione legislativa ed amministrativa molto concreta e partecipata. Una nuova pagina di politica e di storia si è aperta. Occorre esserne tutti consapevoli ed operare in conformità, presto e bene.

BACKHOMENEXT