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Il commento
Enti Locali, testo anticostituzionale

di Ettore A. Albertoni
Assessore alle Culture e Identità della Regione Lombardia

Con il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 settembre scorso il governo ha varato in fretta e furia - e ad uso elettorale - un corpo normativo di ben 275 articoli dedicato a soggetti, organi, organizzazione e personale, controlli e ordinamento finanziario e contabile degli Enti Locali. Si tratta di un tentativo di semplificazione che, detto con franchezza, semplifica istituzionalmente e politicamente molto poco. Anzi, si tratta della solita operazione di cosmesi normativa che non cambia nulla e che risolve ancor meno. Ma avrò modo di riparlarne, per ora mi preme sottolineare anzitutto una gravissima e menomante anomalia.
L’ordinamento della Repubblica italiana ha molto chiaramente individuato e definito nella seconda parte della Costituzione (artt. 55 - 133) i diversi livelli di rappresentanza e di potere democratico. L’anomalia sta nel fatto che se il nuovo Testo Unico richiama correttamente Enti d’autonomia previsti e garantiti dalla Costituzione quali sono il Comune o la Provincia li allinea, però, e li confonde con altri come Aree Metropolitane, Comunità montane e Forme associative che sono, invece, ben distinti dai primi per rappresentatività democratica e per funzioni e compiti. Si tratta, infatti, di istituzioni incerte e che non hanno alcun riconoscimento a livello costituzionale. Va, quindi, sottolineata questa ennesima “stravaganza” di stampo governativo che, tra l’altro, viene a menomare gravemente in linea di principio l’autonomia statutaria delle Regioni a Statuto Ordinario solennemente stabilita dalla recente mini-riforma degli artt. 121, 122, 123, 126 della Costituzione. Come i nostri lettori ben sanno questi sono gli articoli riformati che ci hanno consentito di eleggere nell’aprile scorso direttamente i presidenti delle Regioni e di avviare la “fase costituente” regionale, che è ancora tutta da elaborare e da scrivere, senza forzature preconcetto, strumentali e autoritariamente centraliste.
Vorrei ricordare ai lettori de la Padania - che più di altri seguono da anni con interesse e passione la comune battaglia autonomista e federalista per avere certe e non reversibili “nuove regole” in materia costituzionale e, conseguentemente, per avere più libertà - il contenuto del nuovo articolo 123 della Costituzione.
Esso testualmente recita: «Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo o i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento». Ciò significa che ogni Regione ha acquistato il sacrosanto diritto costituzionale di organizzare la propria legge elettorale, di stabilire il proprio ordinamento di direzione politica ed istituzionale, di ripartire funzioni e competenze con i Comuni e le Provincie che sono anch’essi Enti autonomi di rilevanza costituzionale. Ne deriva che le Regioni hanno anche il sacrosanto diritto di non sentirsi imporre altre strutture istituzionali come quelle menzionate, le quali possono essere recepite o meno nei nuovi Statuti di autonomia. Altrimenti che senso assumerebbe mai l’avere tolto dal nuovo testo dell’art. 123 della Costituzione il riferimento  prima esistente che lo Statuto deve essere in “armonia... con le leggi dello Stato” per chiedere che esso sia unicamente in “armonia con la Costituzione” e poi imporre (per legge statale!) tipologie ambigue, intrise di potere consociativo e del peggiore politichese?
Con questo Testo Unico siamo chiaramente di fronte alla riorganizzazione mascherata di nuovi centralismi mirati a volere contestare il ruolo delle uniche tre autonomie regolarmente costituite: Comuni, Province, Regioni. Occorre, quindi, vigilare e non cadere in questi trappoloni preparati dai comunisti delle diverse obbedienze che oggi governano il Paese.
Occorre anche sviluppare la migliore attenzione ai valori che dobbiamo tutelare e sviluppare. In questo momento il tema delle autonomie costituzionalmente previste e garantiste è davvero strategico. È noto che tutti gli studiosi che hanno esplorato la sempre mobile frontiera che si estende tra i campi degli studi politici e quelli dei diritti, sanno quanto sia essenziale il concetto di autonomia nei principi e nei dettati della vigente Costituzione repubblicana.
Si tratta di un problema di indirizzo e d’interpretazione non riducibile certamente dentro gli schematismi di qualsiasi esercizio di tecnica giuridica “pura”. Il termine “autonomia” (che letteralmente equivale a: «Facoltà di governarsi secondo le proprie leggi»; “Novissimo Dizionario della Lingua Italiana” di Fernando Palazzi) esprime un assai sofisticato e complesso concetto dottrinario - politico non separabile, perciò, dai valori, dagli ideali e dalle caratterizzazioni storiche proprie del contesto culturale ed ambientale che l’ha espresso ed elaborato.
Poiché il mondo, la cultura e l’esperienza sono sempre mutevoli, plurali e complessi, occorre, quindi, non dimenticare mai che l’autonomia, oltre ad essere un principio fondamentale della Repubblica, è anche, e non poteva non essere, la componente essenziale dell’ulteriore e significativo embrione federalistico che con la “devolution” abbiamo iniziato a sviluppare.
Va anche aggiunto che se l’autonomia rappresenta, come avviene, nella Costituzione della Repubblica Italiana un autentico valore non si può oggi mendicare. Essa va, invece, professata ogni giorno, in ogni occasione, con forza e convinzione.
In altri termini se si tratta di un “diritto fondamentale” esso va affermato ed esercitato con pienezza. Un diritto non può essere degradato a qualcosa di vago e di indefinito, negoziabile e consumabile attraverso estenuanti mediazioni e compromessi.
Occorre dire ben chiaro che se l’autonomia è principio e valore su di essa non si può davvero transigere o patteggiare. Non c’è Testo Unico che tenga!

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