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Il commento
Lombardia, una regione pluralista e libera

di Ettore A. Albertoni

Ringrazio i numerosi lettori de la Padania che in questi ultimi giorni mi hanno tempestato con scritti e telefonate per darmi suggerimenti e stimoli a supporto dell’impegnativo onere che mi è stato conferito con l’assunzione della responsabilità politica ed istituzionale del nuovo Assessorato Regionale alla “Cultura, Identità e Autonomia della Lombardia”. Nel ringraziarli e nella impossibilità di rispondere a tutti singolarmente voglio, però, aggiungere - per loro e per tutti i Sindaci, Assessori di Comuni e Province, colleghi di Università, Accademie ed istituzioni di cultura, esponenti del mondo degli spettacoli, della musica ed arti, del vario ed interessantissimo associazionismo culturale e volontario lombardo che mi hanno pure contattato e che mi stanno contattando - che le porte e gli uffici dell’Assessorato che dirigo sono già ora aperti all’ascolto ed all’attenzione di ogni loro proposta ed idea. Culture, identità ed autonomie procedono già ed effettivamente “dal basso” e la Regione non può che rappresentare la sintesi sia di legislazione (Consiglio) che di governo, di indirizzo e di amministrazione (Presidente e Giunta). Mi permetto anche di aggiungere che non intendo perdere più neppure un minuto a spiegare che cosa è il pluralismo storico, culturale, sociale ed istituzionale in senso autenticamente autonomistico della nostra Regione. È un cardine culturale della nostra politica di cambiamento sul quale c’è già un enorme consenso. Comunque per chi non ne fosse ancora convinto e volesse insistere in una gratuita quanto poco intelligente contestazione suggerisco di rinfrescare nei fatti il consiglio di Antonio Gramsci: «Studiate, studiate, studiate». Viviamo in tempi di “formazione continua” meglio quindi approfittare dell’occasione che abbiamo offerto con le nostre opzioni politiche. Se poi si vuole contestare, com’è nel diritto di ognuno, lo si faccia sapendo almeno di che cosa si sta parlando e che cosa stiamo preparando. Per gli altri (che sono la preponderante maggioranza dei lombardi, come dimostrano i risultati elettorali del 16 aprile scorso) che, invece, sanno che il pluralismo della nostra Regione costituisce la premessa per il federalismo che stiamo costruendo conferendo anzitutto soggettività politica ed istituzionale alla Regione in stretto concorso con Comuni e Province e con le autonomie funzionali di Università, Scuole e Camere di Commercio, voglio fare solo una sottolineatura. In particolare mi sembra utile dire che considero definitivamente chiuso un (fortunatamente) breve periodo di assilli di stampa e di televisione che mi hanno sottoposto ad una sorta di inquisizione a proposito del pluralismo e delle identità che si compendiano nelle lingue o nei dialetti lombardi. La banalità e la volgarità ideologica di questo “stalinismo di ritorno” non meritano più alcuna considerazione. Parli ognuno come vuole e studi quello che vuole. Certo è che tra i miei compiti istituzionali di assessore c’è, per scelta culturale e politica inequivocabile e concordata, una specifica competenza a proposito delle culture, le lingue ed i dialetti con le loro letterature e poesie, le tradizioni nel senso specifico scientifico ed antropologico ed in quello popolare. A questi ambiti culturali ed a queste espressioni della libera creatività e dell’esperienza individuale e delle Comunità territoriali che, a quanto pare, non piacciono a certo giornalismo apolide e fondamentalista in senso ideologico-centralista ed autoritario, verranno dati certamente il rilievo ed il ruolo che meritano. Essi, infatti, rappresentano un aspetto peculiare della nostra identità culturale e pluralista. Non a caso Carlo Cattaneo presentando nel 1844 le sue “Notizie naturali e civili su la Lombardia” scriveva: «Il nostro dialetto, nei cordiali e schietti suoni del quale si palesa tanta parte della nostra indole, più sincera che insinuante, porta impresse le vestigia della nostra istoria...». Le sedi delle conoscenze e dei saperi “alti”, universitari e scientifici, già da tempo hanno individuato e studiato l’importanza di questo patrimonio morale, individuale e comunitario, nel mondo in via di globalizzazione ed appiattimento entro il quale viviamo. Ne fa fede, sul piano della ricerca e della elaborazione scientifica, quanto si è già fatto nelle Università di Pavia, di Milano e quanto si è iniziato a fare nella nuovissima Università della Insubria (Varese e Como). Ne fa fede, sul piano della raccolta e della conservazione dei documenti sulle culture e tradizioni popolari, l’enorme mole di dati che ricercatori appassionati e capaci hanno riunito e conservato sia in sedi istituzionali (in primo luogo l’Assessorato Regionale che dirigo) che in sedi private di recupero ed analisi. Potrei continuare trattando diversi altri ambiti specifici, ad esempio teatrali, musicali ed artistici, che partecipano di questo stesso clima culturale di libertà ed innovazione. Non lo faccio qui perché la conoscenza e l’approfondimento li svilupperemo insieme e tra non molto nei dodici incontri programmati sui territori; uno per ciascuna delle 11 Province Lombarde e uno per Milano-città.

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