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Il commento
Le Regioni riformate devono volare alto

di Ettore A. Albertoni

La Nuova Regione, seppure con travaglio e fatica, sta nascendo. Questo è, almeno a mio avviso, il dato rilevante in una situazione difficile e complessa come quella in cui siamo immersi. Non c’è dubbio che siamo di fronte ad un grande marasma politico, ad un preoccupante dissesto costituzionale e troppo spesso ad insufficiente sviluppo civile ed economico ed a sfiducia diffusa e rancorosa verso la politica.
La nuova Regione rinasce - dopo quasi tre decenni di vita eminen-temente amministrativa, asfittica ed umiliata - profondamente mutata ed insieme legittimata ad essere davvero protagonista di profondi cambiamenti. E ciò a seguito della mini-riforma rappresentata dalla Legge costituzionale 22 novembre 1999, n° 1. Si tratta, in sintesi, della recentissima riforma di quattro articoli della Costituzione che ha consentito l’elezione diretta del presidente della giunta regionale e l’avvio della fase costituente per i parlamenti regionali. Ora si deve attuare - purtroppo con mezzo secolo di ritardo - quella vera autonomia statutaria delle Regioni che, pur prevista nella legge fondamentale della Repubblica, è rimasta sempre una illusione ed un imbroglio. È, però, bene sottolineare anche che, essendo stati modificati in modo sostanziale gli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione vigente, sono cadute, almeno sul piano di principio, molte delle barriere autoritarie e centralistiche che nell’oltre mezzo secolo di vita della Carta costituzionale hanno impedito lo sviluppo di quel diritto fondamentale alla autonomia che costituisce la principale e più interessante innovazione nella nostra organizzazione pubblica e politica. Almeno sul piano teorico possiamo dunque dire che: “C’era una volta...” la Regione a statuto ordinario caratterizzata da scarsa legittimazione, molto burocratismo e poca sostanza politica. Oggi non è più così giacché nella forma più legittima e politicamente operosa è diventata concreta la possibilità - se si sa cogliere l’occasione! - di operare quell’atto fondamentale di democrazia, di onestà politica e di azione istituzionale che abbiamo a pieno diritto chiamato “devoluzione”. Quest’ultima rappresenta una scelta ideale e di grande portata che significa sul terreno pratico il trasferimento definitivo ed irreversibile dal parlamento nazionale e dal governo romano di tutte le competenze che sono proprie delle Regioni. Il parlamento dei Lombardi e poi quelli dei Veneti e dei Piemontesi hanno dimostrato che questa scelta è possibile, legittima, politicamente vincente. In coerenza con gli impegni assunti con l’elettorato sin dal 17 febbraio 2000, questa scelta è stata deliberata dai tre parlamenti regionali con la consapevolezza di adempiere ad un atto da tempo dovuto. In fondo si tratta - nella vita politica ed istituzionale di un Paese governato nel suo livello centrale dalla più sfacciata slealtà costituzionale di politici incapaci e dalla più proterva partigianeria di partiti privi di idee, di prospettive e di valori - di attuare quel trasferimento integrale di poteri e competenze legislativi primari nelle diverse ed importanti materie elencate dall’art. 117 Costituzione. Dobbiamo dire che complessivamente c’è stata grande responsabilità e determinazione nelle forze che hanno vinto le elezioni regionali. Occorre, però, ora andare avanti, richiamare alla stessa determinazione tutte le altre Regioni che condividono lo stesso disegno di libertà, di sviluppo e di cambiamento. È, dunque, necessario completare ovunque questo processo di “devoluzione” che rappresenta liberazione di forze sociali e culturali, garanzia di sviluppo economico e, insieme, chiarificazione di obiettivi, metodi e mezzi di governo. Solo in questo modo la prospettiva politica e l’avvenire - oggi inquinati dall’odio e dalle menzogne dei comunisti e dei loro fiancheggiatori - garantiranno speranza e conforto a tutti gli amici delle libertà. A ben guardare ciò che maggiormente fa imbestialire (il verbo è forte, lo so, ma rispecchia esattamente le forsennate reazioni dei nostri nemici) è la tensione liberatrice che guida queste scelte. Esse compendiano non solo attenta e critica considerazione storica e culturale della situazione politica italiana nella fase ormai conclusiva della crisi - a mio avviso mortale ed irreversibile - del blocco di potere conservatore, reazionario ed antipopolare che si è chiamato Ulivo e che se ora appare innominato, resta peraltro fedele alla sua natura intrinsecamente liberticida. Il nostro intransigente sostegno dei valori fondamentali delle persone e delle Comunità, unito alla difesa e al rafforzamento di una moralità comune, naturale e insieme civile, rappresentano i dati preziosi e qualificanti di una ben precisa volontà politica. Essa ha il suo punto di forza e di qualificazione nel rifiuto di ogni globalizzazione ap-piattente ed omologante. Afferma, perciò, la preminenza, alta e nobile, della soggettività politica, culturale, identitaria ed istituzionale di pacifici Popoli e di libere Terre. È più che mai necessario che le Nuove Regioni interpretino tutto questo e volino sempre più in alto, senza tentennamenti e ritardi che nessuno capirebbe ed ancora meno giustificherebbe.

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