Il commento Terremoto nella Storia di Ettore A. Albertoni |
Cè un rinnovato interesse per la storia e, fortunatamente, non si tratta
di retorica untuosamente apologetica del potere e del fatto compiuto come
sta ormai facendo da alcuni anni lex sinistra pentita per la troppa
tracotanza distruttrice di ieri e dellaltro ieri. Che poi si contenda su Pio IX o
sui briganti borbonici che combattevano contro lEsercito
italiano e regio, che si contesti Garibaldi o che si neghino i significati
democratici, liberalizzatori o federalisti della critica al Risorgimento per esaltare
la maestà etica dello Stato unificatore, non interessa molto a questo punto.
Ciò che si manifesta come assai significativo ed importante è che la storia
italiana sta uscendo (finalmente!) dalla mortifera naftalina dellapologia e
dalle grinfie delle corporazioni dei manipolatori professionali ed ideologicamente
integrati nel regime politico dominante per diventare formidabile componente critica
e problematica anche per il presente ed il futuro. Va dato atto che tutto questo è
oggi possibile perché per la prima volta nella nostra cultura una forza politica e
sociale di riforma radicale ma non classista, anzi decisamente interclassista - la
Lega Nord - ha saputo trasformare la critica culturale al processo risorgimentale ed
ai suoi magri risultati in termini di organizzazione statuale in un diffuso e
condiviso convincimento popolare. Quali possono essere gli spunti di riflessione su questo autentico terremoto che sta scuotendo storici e politici? Partendo da unanalisi anche sommaria risulta evidente che il processo di unificazione italiana, dal 1861 alla Prima Guerra mondiale, è stato dominato dalla conquista sabauda sposata con lunitarismo mazziniano. Si è costituito e consolidato nel corso di quel periodo uno Stato sul modello del centralismo francese, in cui il valore mitico dellunità ha portato allappiattimento dellenorme e vitalissimo pluralismo culturale e istituzionale che aveva sempre caratterizzato le grandi realtà politiche fiorite nelle ben differenziate aree territoriali italiane. Mi riferisco a Venezia, Firenze, lo Stato della Chiesa, il Regno delle Due Sicilie, Milano, Genova, ecc. Questo processo di potere e di potenza statali ha sovrapposto una concezione di tipo fortemente statalistico e gerarchico a realtà politiche e comunitarie assai più composite ed articolate che risultano essere le conseguenze ovvie di ben precise differenze storiche, sociali, comportamentali, culturali ed economiche. Penso ad esperienze come quelle del pluralismo della Lombardia e del Veneto nella loro proiezione e vocazione così significativa ed anche così radicata nella Mitteleuropa. Non cè dubbio che lintegrazione dei popoli italiani in una struttura statuale e burocratica relativamente recente ed uniformante sia stata segnata da alcuni risultati positivi ma anche da molteplici momenti di crisi e di rivolta. Un dato sempre latente quanto costante è stato un diffuso rifiuto dello Stato-padrone, dello Stato-precettore comunque motivato. Sostanzialmente vi fu il rifiuto di poteri che si sentivano lontani e, in ogni caso, rapaci. Come conseguenza la società nazionale crebbe acerba, debole, protetta e troppo spesso irrazionale e labile mentre le istituzioni apparvero sempre più rivolte ad opprimere che a sorreggere ed a sviluppare le Comunità e gli individui. Dopo che in breve fu consumato lilluministico autoritarismo dei primi governi nazionali la Prima Guerra mondiale cambiò per sempre uomini e classi, culture ed economie. Il fascismo per motivare la sua politica autoritariamente patriottica ed appiattente - singolare impasto di interventismo statalista di stampo keynesiano e di indefinito corporativismo, terza via tra capitalismo o comunismo - fece leva su un nazionalismo parossistico e totalizzante. Mussolini, anche se attuò alcuni istituti di modernizzazione dello Stato lo centralizzò, nel fatto e nel diritto, in modo radicale. Ne fece uno strumento più efficace ed adeguato ai tempi ma certamente anche funzionale allautoritarismo della dittatura imperialista. Con la Seconda Guerra mondiale, il crollo del fascismo e della monarchia, si aprì un periodo costituente che avrebbe dovuto ripensare e riplasmare lorganizzazione dello Stato. Mancò, però, allora il coraggio e prevalsero mitologie giuridiche come la continuità dello Stato, pregiudizi e dogmi unitari del tutto astratti e politicamente frustranti. Non si scelse il federalismo che venne respinto per pregiudizio ideologico e per bigotteria nazionale e si posero, invece, le incerte e pavide basi di uno Stato regionale contornato da autonomie locali che di fatto si vollero mantenere ad un rango subordinato ed inferiore. Il revisionismo storico e la critica anti-risorgimentale (copiosissimi, addirittura, dopo il 1945, straripanti nel campo di tutte le sinistre) furono nella loro sostanza generici e retorici giacché autoritarismo, retorica patriottarda, padronato di Stato motivato con formule Keynesiane, dominarono sempre il regime partitocratico. Questultimo se è entrato in crisi alla fine degli Anni 80, rimane tuttavia ancora in vita e, anzi, tende a rilanciarsi e rilegittimarsi attraverso il cosiddetto centrosinistra. Dal punto di vista dottrinario e giuridico la Costituzione poteva apparire nel 1948, quando fu promulgata, come molto innovativa ma quei deboli semi di un progetto innovatore restarono sulla carta, per cui la centralizzazione autoritaria politicamente e burocraticamente arrogante ed inefficiente non solo non venne smantellata come voleva la nuova Carta Costituzionale, ma venne addirittura rafforzata. Basterà ricordare che il crollo del fascismo aveva lasciato un apparato burocratico-amministrativo dello Stato con circa 700mila dipendenti pubblici, cinquantanni dopo siamo tra i 4 e i 5 milioni. Vi è, quindi, un difetto molto preciso di cultura politica e giuridica che nasce anche dal fatto che i filoni federalisti di pensiero sono sempre stati presenti in Italia ma più come movimenti culturali che politici. Cattaneo, Ferrari, Salvemini, Einaudi, lo stesso Sturzo, il Partito dAzione nel secondo dopoguerra ed alla Costituente, diedero testimonianze alte e nobili su quel versante politico od ideale. Tuttavia personalità, idee e movimenti politici furono sempre schiacciati e sconfitti perché lItalia repubblicana, dal 1945 in poi, prima ancora della Costituzione, ebbe come base di legittimazione la partitocrazia: i grandi partiti-Stato come la Dc, o i partiti-Apparato come il Pci. Lideologia consociativa tra chi monopolizzava il potere statale e chi gli apparati di massa e di mobilitazione sociale, sindacale, cooperativa e deversione, condusse come risultato finale ad una gestione del potere senza principi e senza valori. Tutto questo ha viziato per decenni il gioco politico ma nel momento in cui crollarono le premesse che avevano portato a questi esiti si capì, alla fine degli Anni 80, che lo Stato non era più in grado di funzionare su quel modello di continuità burocratica, consociativa e keyenesiana. Personalmente sostengo, mi sembra con buone ragioni, che non ci sia stata, quindi, alcuna frattura tra lo Stato monarchico nella sua fase più pre-liberale che liberale in senso compiuto, quello nazional fascista, quello democristiano e quello attuale, consociativo e di impronta cattocomunista. Ebbene, per capire perché il federalismo è oggi più attuale e possibile che mai non si può prescindere da tutto questo che significa anche la fine di una statualità ambigua e pericolosa come quella italiana. Il sistema partitocratico dominante negli Anni 80 e 90 si è frantumato in operazioni gattopardesche nel momento in cui la Dc si è dissolta nei moltissimi rivoli che la componevano. Con operazioni di puro mimetismo i comunisti si sono pure scomposti in alcune, poche, formazioni di ostinati rifondatori ed in altre di rinnegati. Tuttavia lapparato del vecchio Pci continua ancora, non è mai morto e, anzi, oggi governa, seppure male ed in modo democraticamente scorretto, lo Stato allinsegna dellantico motto marciare divisi per colpire uniti. Solo il Psi è stato consensualmente immolato dai consociati cattocomunisti sullaltare dello Stato partitocratico quale capro espiatorio ma soprattutto perché esso era una forza politica debole ed odiata dai due consociati massimi, ormai congiunti nella ideologia politicamente corretta del cattocomunismo. In questo scenario di crisi profondissima, devastante ed ambigua arrivò fortunatamente la Lega, un Movimento originale - non un nuovo partito - capace di raccogliere cittadini di tutte le esperienze politiche consapevoli che, se non si cambia lo Stato, nel nuovo quadro della globalizzazione, non si risolve alcun problema. Non si tratta unicamente di una questione giuridica e costituzionale giacché questo Stato, oltre a dovere essere riformato nelle norme e nelle strutture, deve principalmente cambiare la sua Costituzione economica, deve superare ogni residuo di un Keynesismo ormai privo di qualsiasi legittimazione. Deve, in una sola formula, investire ogni sua energia in un grande processo di liberalizzazione e modernizzazione. Riaprire il dibattito storico su 139 anni di storia italiana vuole dire contribuire a questo processo doloroso, difficile ma estremamente necessario. |