Il modello della Lega Nord
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E' opportuno esaminare innanzitutto, sia pure molto rapidamente, il sistema italiano così
come disegnato nella Costituzione, considerandone le caratteristiche alla luce dei criteri
precedentemente indicati.
Per il vero, il sistema italiano, così come disciplinato nella Costituzione, è, dal
punto di vista qui adottato, tutt'altro che privo di ambiguità.
La nostra Costituzione prevede, infatti, una significativa partecipazione della Regione ad
alcune attività dello Stato centrale:
- elezione del Presidente della Repubblica;
- iniziativa legislativa;
- potere di chiedere il referendum abrogativo;
- possibilità per almeno cinque Regioni di chiedere l'intervento del popolo nel processo
di revisione costituzionale;
- elezione del Senato a base regionale, secondo una formula che avrebbe potuto consentire
anche una legge elettorale più vicina al modello americano.
La Costituzione, dunque, nella sua formulazione letterale, aveva lasciato per molti versi
aperta la via ad un' evoluzione del modello regionale italiano in senso fortemente
federale, con elementi al medesimo tempo originali e vicini sia a quello americano che a
quello tedesco.
Sotto altri aspetti, invece, la nostra Costituzione disegna un sistema regionale assai
più simile a un complicato sistema di autonomie territoriali locali che a un modello di
"regionalismo forte" o di "federalismo".
Questo vale, innanzitutto, per il medesimo art. 5 della Costituzione, che pone le
"autonomie locali" e non le Regioni "come tali" al centro
dell'articolazione territoriale dell'ordinamento.
Vale poi per l'art. 114 Cost. che, nel definire le articolazioni territoriali della
Repubblica, pone su un medesimo piano Regioni, Comuni e Province.
Vale, infine, per quanto riguarda l'ambito dell'autonomia organizzativa propria delle
Regioni, per un verso, e di Comuni e Province, per l'altro.
L'autonomia di tutti e tre i livelli di governo è comunque sottoposta a forti vincoli
"uniformanti": da parte della stessa Costituzione, per quanto riguarda le
Regioni; da parte della legge generale della Repubblica, per quanto riguarda Comuni e
Province.
La Costituzione disciplina inoltre la ripartizione della competenza legislativa fra Stato
e Regioni, limitando quella del legislatore regionale "costituzionalmente
garantita" alle materie "enumerate" e consentendo al legislatore statale di
dettare, attraverso i principi fondamentali, gli elementi "uniformanti" che esso
ritiene di volta in volta più opportuni.
Altrettanto "limitata" è la competenza amministrativa delle Regioni.
Innanzitutto essa è "garantita" solo nelle materie di competenza legislativa.
In secondo luogo, anche a non voler tener conto del "ritaglio in alto" operato
dallo Stato con modalità "extra-costituzionali", resta fermo che il legislatore
statale ex art. 128 e 118 Cost. può operare un ampio "ritaglio in basso"
attribuendo competenze amministrative di interesse locale ai Comuni e alle Province.
Infine, come è ben noto, i Comuni e le Province sono regolati dalla legge statale.
Il che significa che comunque il sistema dell'amministrazione locale è concepito come
"separato" rispetto all' ordinamento regionale: con la conseguenza che le
funzioni amministrative di interesse locale eventualmente "sottratte" alle
Regioni sono assegnate a un sistema di amministrazione locale sostanzialmente
"uniformata" o "uniformabile" da parte del legislatore statale, almeno
per quanto riguarda i modelli organizzativi fondamentali.
Del resto la stessa esperienza della l. 142 del 1990 e delle difficoltà di attuazione
dell'art. 3 di quella legge dimostra la solidità "strutturale" dei limiti che
caratterizzano il modo col quale è "costruita" la competenza amministrativa
regionale nel nostro ordinamento.
Ovviamente l'analisi dovrebbe essere ulteriormente sviluppata e si dovrebbe tener conto
anche della possibilità per il legislatore statale di ampliare la competenza legislativa
e, soprattutto, quella amministrativa delle Regioni e della facoltà per le stesse di
delegare proprie competenze o funzioni amministrative agli enti territoriali.
Il che, per certi aspetti, consente di dire che nelle pieghe dell'art. 117 u.c., ma
soprattutto dell'art. 118 Cost., avrebbero potuto esservi (e potrebbero esservi, giacché
la via sinora seguita può essere corretta anche dal legislatore ordinario) elementi per
consentire anche un'evoluzione possibile del sistema italiano secondo moduli analoghi a
quello tedesco.
Tuttavia, anche senza sviluppare questi ulteriori elementi di analisi, è possibile
osservare che la nostra Costituzione ha adottato un modello molto singolare.
Per certi aspetti, infatti, il sistema costituzionale sembra orientato verso un
"regionalismo forte" mentre per altri profili pare invece fondare un ordinamento
molto centralistico, seguendo un modello che ha finito per prevalere ed ha segnato la
sostanziale "marginalizzazione" delle Regioni.
Osservazioni analoghe valgono per quanto riguarda il modello finanziario.
L'art. 119 Cost., infatti, prevede sostanzialmente non solo la perequazione fra le Regioni
ma anche che questa sia totalmente rimessa alla competenza dello Stato.
Il meccanismo adottato per disciplinare i trasferimenti ha poi contribuito molto a
rafforzare il ruolo dello Stato centrale, giacché, come è ben noto, la legislazione
ordinaria ha adottato un modello, fiscale e finanziario, tutto imperniato intorno ai
trasferimenti dallo Stato alle Regioni, ai Comuni e alle Province.
Trasferimenti originariamente organizzati attraverso il fondo comune dell'art. 8 della l.
281 del 1970, con fortissimi effetti perequativi e redistributivi fra le diverse Regioni,
e poi sempre più affidato, di fatto, a finanziamenti di settore, a "trasferimento
vincolato", dallo Stato alle Regioni.
Se, dunque, guardiamo al sistema costituzionale, così come disciplinato nella
Costituzione del 1948, e teniamo altresì conto del modo col quale questo sistema è stato
attuato nella legislazione ordinaria, non possiamo che convenire sull'estrema
"debolezza" del regionalismo italiano.
Debolezza tale da aver fatto ritenere a molti che in Italia non si possa parlare tanto di
un sistema imperniato sul rapporto tra Stato e Regioni , quanto piuttosto di un
ordinamento che vede i propri elementi fondamentali da un lato nello Stato centrale e
dall'altro nel sistema delle autonomie locali previsto e tutelato dall'art.5 Cost.
Modello, dunque, assai lontano da ogni prospettiva di significativo
"federalismo" quale che sia il significato col quale si intende usare questa
espressione
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come mai la costituzione italiana, per quanto
riguarda l'autonomia locale non viene attuata?
e' opportuno porre sul medesimo piano le regioni, le
province e i comuni?
le contraddizioni della costituzione italiana
in materia di centralismo e federalismo. La costituzione italiana e' superata oppure si
puo' ancora farne buon uso sviluppando gli articoli che parlano di autonomia provinciale?
Oppure bisogna ripartire da capo e ripensare il rapporto tra centro e periferia?
Negli ultimi anni, nell'ambito della difficile transizione in atto e del dibattito da
tempo aperto ( e mai concluso) in materia di riforme istituzionali, sono state elaborate,
sia in sedi extraistituzionali sia in sedi istituzionali (Parlamento e, più recentemente,
col Ministro Speroni, Governo) numerosi progetti e proposte di riforma costituzionale e
istituzionale.
Per "modello della bicamerale" si intende quello elaborato e approvato durante i
lavori della Commissione Bicamerale per le Riforme istituzionali operante nella scorsa
legislatura e presieduta in una prima fase dall'on. De Mita e successivamente dall'on.
Jotti. .
Questa Commissione, istituita nel settembre del 1992 e successivamente disciplinata con
legge costituzionale del 6 agosto 1993 (l. cost. n. 1 del 1993), aveva il compito di
definire un progetto organico di riforma della parte II^ della Costituzione italiana:
progetto che la Commissione, pur attraverso difficoltà rilevanti, è comunque riuscita ad
elaborare e che, dopo l'approvazione dell'articolato da parte della Commissione stessa, è
stato consegnato in via ufficiale ai due rami del Parlamento proprio la settimana
immediatamente precedente allo scioglimento della Legislatura .
Questo testo costituisce, per la parte che qui interessa, un punto fermo di notevole
importanza, anche se certamente esso, in quanto tale, è destinato a seguire la sorte dei
tanti progetti che nelle ultime legislature sono stati consegnati agli archivi di Camera e
Senato.
A1. La Commissione Bicamerale e la partecipazione delle Regioni alla formazione
degli organi centrali dello Stato.
Utilizzando lo schema sinora seguito, ed i criteri di analisi precedentemente
indicati, si deve innanzitutto dire che il modello elaborato dalla Commissione Bicamerale
non prevede nessuna incisiva partecipazione delle Regioni agli organi centrali dello
Stato.
Né la Camera né il Senato vengono "regionalizzate" in modo significativo. Né
il modello statunitense né quello tedesco vengono seguiti. Il Parlamento, pur bicamerale,
resta sostanzialmente rappresentativo del popolo italiano unitariamente considerato.
A2. La Commissione Bicamerale e la ripartizione delle competenze legislative tra
Stato e Regioni
La proposta della Commissione Bicamerale appare invece assai più interessante e
innovativa per quanto riguarda i criteri di ripartizione della competenza legislativa fra
Stato centrale e Regioni.
In questo modello, come si è già detto, viene infatti rovesciato il meccanismo
attualmente previsto dalla nostra Costituzione, procedendo a un ridisegno della
ripartizione delle competenze legislative Stato-Regioni piuttosto complicato.
A2.1 Si prevede :
1) che lo Stato abbia competenze esclusive in materie enumerate e che in tutte le altre
materie la competenza sia, comunque, attribuita alle Regioni.
2) che la competenza legislativa delle Regioni possa essere di due tipi:
a) esclusiva in materie "enumerate";
b) residuale in tutte le altre materie non specificamente attribuite alla competenza
esclusiva dello Stato o delle stesse Regioni.
Un modello, dunque, a "tre colonne": materie statali, materie regionali, materie
regionali non enumerate.
A2.2 La proposta della Commissione Bicamerale prevede poi:
- che lo Stato, nelle materie esclusive affidate alla sua competenza, possa legiferare col
solo limite della Costituzione;
- che nelle materie attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni, lo Stato possa
solo stabilire le norme (ovviamente "uniformanti") relative ai diritti
fondamentali dei cittadini;
- che nelle materie non enumerate, attribuite comunque alla competenza del legislatore
regionale, lo Stato possa, con leggi organiche, stabilire i principi fondamentali
vincolanti il legislatore regionale.
A2.3 In sostanza, è una proposta che, malgrado paia "rovesciare" del tutto il
sistema esistente, suscita comunque molte perplessità perché sembra consentire
applicazioni fra loro molto diverse.
Potenzialmente, infatti, sembra potersi sviluppare secondo le linee proprie del modello
tedesco, ma proprio lo studio di quel sistema ci dice che l'autonomia legislativa dei
Lander è di fatto assai più limitata di quanto le norme costituzionali, se approvate,
potrebbero permettere alle Regioni italiane.
Nella proposta della Commissione Bicamerale, inoltre, non è previsto il criterio della
sussidiarietà alla "tedesca", dominante invece nella Costituzione della
Germania federale; anche se è vero che le leggi-cornice statali, previste in tutte le
materie non attribuite alla competenza esclusiva ed enumerata delle Regioni, potrebbero
comunque consentire un forte potere di intervento dello Stato, per certi aspetti almeno
potenzialmente paragonabile a quello del Bund.
Nelle materie enumerate, attribuite alla competenza esclusiva della Regione, è, poi,
prevista la clausola secondo la quale lo Stato può sempre intervenire per salvaguardare i
diritti fondamentali dei cittadini: clausola questa di per sé abbastanza restrittiva,
anche se molto potrebbe dipendere poi dagli orientamenti della successiva giurisprudenza
della Corte Costituzionale.
A3. La Commissione Bicamerale e la ripartizione di competenze amministrative tra
Stato e Regioni.
Per quanto riguarda le competenze amministrative, il modello della Commissione Bicamerale
stabilisce che, salvo che nelle poche materie attribuite in via esclusiva allo Stato, in
tutte le altre la competenza amministrativa spetti alla Regione. Toccherebbe poi a questa
definire quali di queste competenze amministrative debbano essere attribuite a Comuni e
Province.
Su questo piano, dunque, il salto rispetto alla realtà attuale è certamente più netto,
e delinea una prospettiva che richiama significativamente il modello tedesco.
Sul piano amministrativo, in sostanza, il progetto della Commissione Bicamerale propone un
vero e proprio "rovesciamento" del modello esistente.
Esso implica, infatti, un fortissimo rafforzamento delle Regioni: aspetto confermato, e
non contraddetto, dal fatto che spetta ad esse stabilire quali delle competenze loro
assegnate debbano essere esercitate dalle Province e dai Comuni.
A4. La Commissione Bicamerale e il sistema finanziario e fiscale
Per quanto riguarda il sistema finanziario, il modello della Bicamerale continua a
prevedere l'esistenza di un fondo perequativo gestito dallo Stato. Stabilisce però che
questo fondo deve essere utilizzato secondo parametri fissi, determinati dalla stessa
Costituzione.
Il progetto prevede, poi, che lo Stato centrale possa assegnare alle Regioni ulteriori
risorse per investimenti specifici.
Anche su questo piano, dunque, il riferimento al modello tedesco è evidente.
A5. La Commissione Bicamerale e le attività sovraregionali e internazionali delle
Regioni
Nella proposta della Commissione Bicamerale non c'è nessuna indicazione precisa per
quanto riguarda la facoltà per le Regioni di sviluppare relazioni internazionali.
Ogni decisione in merito è, infatti, rimessa alle successive decisioni del legislatore
nazionale al quale spetta, nell'ambito della propria competenza esclusiva, consentire o
meno alle Regioni di stipulare accordi internazionali.
Una certa "apertura" vi è invece, nel progetto della Bicamerale, per quanto
riguarda gli accordi infra-regionali che rientrano nelle materie attribuite alla
competenza esclusiva delle Regioni.
A6. Legge elettorale e forma di governo delle Regioni nel progetto della
Commissione Bicamerale
(cenni sulla discussione svoltasi in Parlamento nell'estate 1994 e prospettive
future)
Va ancora sottolineato che il modello della Commissione Bicamerale è di particolare
interesse per quanto riguarda la possibilità di consentire alle Regioni di decidere la
propria forma di governo e la propria legge elettorale.
E' una prospettiva, questa, che sconta potenziali, profonde, differenze fra le diverse
Regioni, rinunciando alla "uniformizzazione" sul delicatissimo versante dei
futuri sistemi politico-istituzionali regionali.
E' del resto questa una linea che ha già condotto, proprio nell'estate del 1993,
all'approvazione della l. cost. n.2 /93 , con la quale si è introdotta nell'ordinamento
una grande potenzialità di differenziazione delle Regioni a statuto speciale, proprio in
ordine alla loro forma di governo e alla legge elettorale degli enti territoriali
insistenti sul loro territorio.
Peraltro, alcune delle indicazioni contenute, su questi punti, nel testo della Commissione
Bicamerale sono state riprese, non senza qualche forzatura, nell'attuale legislatura.
E proprio sulla proposta, avanzata dalla maggioranza di governo dell'epoca ,di modificare
l'art. 122 Cost. consentendo alle Regioni di adottare la forma di governo e il sistema
elettorale che preferissero ( ampia potenzialità di differenziazione) purché fosse
garantita l'elezione diretta del presidente della Regione e un sistema elettorale
maggioritario a turno unico (elementi fortemente uniformanti), nel settembre del 1994 si
è interrotto, in seguito al voto contrario dell'Assemblea di Montecitorio, il più
significativo tentativo di riforma della normativa costituzionale sviluppatosi in
Parlamento nel corso di questi primi mesi di legislatura. Tentativo, questo, che ha tenuto
impegnata la I Commissione Affari costituzionali della Camera dal 12 luglio al 14
settembre 1994 e il cui fallimento è stata poi una concausa dell'affannosa vicenda che ha
condotto all'approvazione, con legge ordinaria, della nuova legge elettorale regionale (l.
23 febbraio 1995 n. 43)
Tuttavia, malgrado queste ultime vicende, sembra giusto ritenere che ipotesi di evoluzione
del nostro ordinamento orientate in questo senso (magari con elementi
"uniformanti" meno incisivi o di altro carattere) siano destinate a tornare
comunque sul tavolo delle discussioni in materia di riforma di questa parte della
Costituzione.
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e' un caso che i progetti di costituzione federale
vengano presentati sempre qualche giorno prima della caduta dei governi
che li hanno promossi?
fino a che punto possono essere seguiti i modelli
degli altri paesi europei per approntare il federalismo in Italia e in Padania?
Commissione su composizione regionale o commissione
parlamentare?
In che misura deve esistere la perequazione fra
regioni e chi la deve stabilire. Accordi a termine fra le regioni o le provincie oppure
fondo perequativo amministrato dal governo federale centrale?
In che misura le unita' autonome possono
stipulare accordi internazionali e fra i vari soggetti periferici e con lo stato?
Prendiamo ora in esame il progetto presentato dalla LEGA NORD durante
l'Assemblea Federale tenutasi a Genova il 6 dicembre 1993.
Va detto subito detto, peraltro, che questo modello è molto lontano da quello del
Comitato Speroni (v. infra sub D), anche se lo stesso on. SPERONI, in quanto uomo di
partito e non in quanto Ministro, ha partecipato, nel corso dell'Assemblea di Genova, alla
presentazione di quel progetto.
B1. La eccessiva complessità del modello Lega Nord.
Il progetto della LEGA NORD, per quanto elaborato con l'aiuto del prof. ORTINO, appare ben
difficilmente attuabile.
Si tratta infatti di un modello molto complesso che prevede una Federazione, 9 Stati e 20
Regioni, oltre ai Comuni e alle Province. Ben cinque livelli di governo a competenza
territoriale differenziata, dunque, secondo una linea di complicazione, e non certo di
semplificazione, del sistema di governo e di amministrazione del Paese.
Da questo punto di vista si tratta di un progetto che eccessivamente "barocco" e
comunque troppo complicato. In particolare non si comprende bene la ragione della
creazione dei 9 nuovi Stati, uno dei quali, quello della Campania-Calabria, persino privo
della continuità territoriale.
Assai rilevanti sono inoltre anche le perplessità che suscita l'organizzazione
complessiva del nuovo sistema proposto.
B2 . Gli Stati e gli organi centrali della Federazione nel modello della Lega Nord
Appare innanzitutto assai singolare che, dopo aver creato un sistema così complesso, non
sia prevista nessuna reale partecipazione degli Stati agli organi centrali della
Federazione.
In sostanza, per quanto riguarda la formazione degli organi federali, e quindi la loro
capacità rappresentativa, il modello elaborato appare assai vicino a quello all'attuale
Costituzione italiana.
La stessa "Camera degli Stati" è , infatti, soltanto eletta "a base
statuale", secondo un criterio analogo a quello del nostro attuale Senato che, come
è noto, è, per vincolo costituzionale, anch' esso eletto a base regionale: nulla a che
vedere dunque con la Camera della " pari rappresentanza" degli Stati, alla
maniera del Senato USA, o con la Camera dei Lander, alla maniera tedesca.
B3. La distribuzione delle competenze fra i diversi livelli di governo nel modello
della Lega Nord
Per quanto riguarda la distribuzione delle competenze fra i cinque livelli di governo, il
progetto prevede che la Federazione abbia competenza esclusiva in un certo numero di
materie.
Questa competenza esclusiva è, però, divisa in due categorie distinte:
- per alcune materie la funzione legislativa è esercitata da entrambi i rami del
Parlamento, e cioè sia dall' "Assemblea Federale" che dalla "Camera degli
Stati";
- per un'altra serie di materie invece la competenza è attribuita alla sola Assemblea
Federale.
Tutto ciò che non è riservato alla Federazione, è poi attribuito alla competenza degli
Stati.
Peraltro gli Stati incontrano gli stessi vincoli che l'art. 121 della nostra Costituzione
prevede oggi per le Regioni: è, cioè, fatto divieto di imporre dazi, di ostacolare
l'attività lavorativa dei cittadini e di porre limiti alla libertà di circolazione fra
Stato e Stato.
Infine gli Stati possono, a loro volta, delegare una parte delle loro competenze
legislative alle Regioni, stabilendo, se credono, principi e vincoli che queste devono
rispettare.
Il quadro complessivo che ne risulta appare veramente assai complicato:
- la competenza esclusiva della Federazione è esercitata, a seconda delle materie, ora da
entrambe le Camere ora da una sola;
- gli Stati esercitano ogni residua competenza legislativa;
- le Regioni esercitano le competenze loro delegate di volta in volta dagli Stati, e
secondo i vincoli da questi posti.
B3. La ripartizione delle competenze amministrative fra i diversi livelli di
governo nel modello della Lega Nord
Per quanto riguarda, poi, la ripartizione delle funzioni amministrative, il
sistema proposto appare ancora più "singolare".
La Federazione esercita ogni funzione amministrativa nelle materie assegnate alla sua
competenza esclusiva.
In ogni altra materia, pur essendo la competenza legislativa riservata agli Stati,
l'attività amministrativa spetta alle Regioni.
I 9 Stati. dunque, non hanno una "propria" amministrazione: l'amministrazione è
federale, per le competenze esclusive della Federazione; regionale, per le competenze
legislative degli Stati.
B4. Il sistema dei controlli sull'attività degli Stati nel modello della Lega
Nord
Per quanto riguarda i controlli, il progetto della Lega appare ispirato a una
logica assai vicina a quella del sistema costituzionale attuale.
Gli Stati sono infatti sottoposti a controlli federali molto penetranti, del tutto
incoerenti con l'articolazione complessiva dell'ordinamento proposto.
B5. Indeterminatezza del sistema fiscale nel modello della Lega Nord
Nulla è specificato, in questo modello, per quanto riguarda il sistema fiscale.
Ci si limita, infatti, ad affermare che questo dovrà essere organizzato in modo che ogni
livello di governo possa far fronte con entrate proprie alle spese di sua competenza, ma
manca ogni indi cazione per quanto riguarda i meccanismi di perequazione e gli altri
elementi che devono necessariamente caratterizzare un sistema fiscale "compiuto"
.
B6. Carenza di ogni previsione in merito agli accordi interstatuali o
internazionali degli Stati membri nel modello della Lega Nord
Manca ogni previsione in ordine alla possibilità di accordi infraregionali o
infrastatuali, e nulla è stabilito per quanto riguarda la capacità di diritto
internazionale degli Stati membri.
B7. Una riflessione "interlocutoria"
Il progetto presentato a Genova dalla LEGA NORD appare obiettivamente ancora
molto segnato dalle caratteristiche di uno studio elaborato a tavolino che tiene
eccessivamente conto di suggestioni e di esperienze, anche straniere, tra loro assai
diverse.
Su aspetti fondamentali esso è troppo "sfuggente", o eccessivamente legato ad
alcune caratteristiche del sistema costituzionale vigente. Soprattutto molto forte resta
il legame con una visione centralistica dello Stato-apparato.
Sembra dunque inevitabile assumere anche questo progetto come un "segno"
importante della difficoltà, che oggi si registra nel nostro Paese, di elaborare un
progetto di trasformazione dello Stato davvero completo e maturo , che non risenta in modo
profondo o di suggestioni accademiche o di condizionamenti culturali che non si riescono a
superare.
B.8 Una "postilla"
Alcune delle carenze più rilevanti riscontrate nel "progetto di
Genova" della Lega nord sono state successivamente "corrette", in sede di
elaborazione del già più volte citato disegno di legge costituzionale a firma Speroni e
altri presentato al Senato il 18 gennaio 1995 ( progetto di legge che nulla ha a che
vedere con le proposte avanzate dal Comitato Speroni, sulle quali v. infra sub D).
Fra queste carenze quelle che appaiono prese maggiormente in considerazione riguardano
proprio la composizione degli organi centrali della Federazione e le garanzie
costituzionali.
Si prevede infatti un Senato federale composto secondo il modello tedesco, come Camera
degli Stati, e si prevede che comunque nessuna modificazione alla Costituzione federale
possa avvenire senza il consenso della Assemblea degli Stati e delle Regioni (organo
composta dai componenti dei Governi degli Stati e dei Governi delle Regioni) da ottenersi
a maggioranza dei due terzi dei loro componenti. Sono previste poi particolari forme di
aggravamento per le modifiche costituzionali in materia di riparto di competenze o di
rapporti con la Comunità Europea ed è previsto anche che un terzo dei membri della Corte
costituzionale sia eletto dalle Assemblea degli Stati e delle Regioni, pur senza
specificare le modalità di elezione.
Infine questo progetto contiene una lunga e articolata disposizione normativa per quanto
riguarda il sistema dei trasferimenti possibili di risorse fra Federazione e Stati e fra
Stati. La norma tuttavia, pur essendo in qualche aspetto ispirata dall'esempio tedesco
appare assai complessa, da un lato, assai poco tecnicamente perfezionata, dall' altro.
Non mancano infine, in via generale, sforzi anche complessi di "riscrivere" in
senso federale tutta la Costituzione, a partire dall'art. 5 per passare attraverso un gran
numero di norme della stessa prima parte della Costituzione.
E tuttavia può ben dirsi che nel suo complesso il progetto contenuto nella proposta di
legge costituzionale 18 gennaio 1995, primo firmatario Speroni, lascia non meno perplessi
di quello presentato a Genova dalla Lega Nord.
Entrambi infatti appaiono privi di un reale e solido impianto ordinamentale e preoccupati
essenzialmente di introdurre comunque elementi di federalismo nel sistema italiano.
Occorre comunque riconoscere che, se non altro per l'attenzione prestata alla composizione
del Senato, alle garanzie costituzionali e ai problemi connessi alla redistribuzione delle
risorse, il progetto Speroni appare assai più "raffinato" di quello a suo tempo
presentato a Genova.
Ed è indiscutibile che nell'accentuata valorizzazione dei Governi statali e regionali
propria nel disegno di legge costituzionale a primo firmatario Speroni si colgono
influenze assai significative del progetto, tutto a impianto "direttoriale",
proprio dell' elaborazione di Miglio.
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Il modello Miglio, almeno nelle sue linee essenziali, e per quanto ne è stato reso noto
come "Modello di Costituzione federale", pubblicato in "CUORE E
CRITICA", dicembre 1994, si presenta come un progetto molto "pensato".
Tuttavia esso, per una parte, sembra eccessivamente "astratto" .
Per un'altra parte, invece, pare mirare a un sistema che, al di là della apparente
"complicatezza semplificante", sarebbe destinato a reggersi unicamente intorno a
figure carismatico-plebiscitarie.
C1. La struttura della Federazione: i tre Cantoni e le Regioni speciali nel modello Miglio
E' prevista una "Federazione" composta di tre
Cantoni, ciascuno dei quali comprende al suo interno un certo numero delle attuali Regioni
ordinarie.
Accanto ai tre Cantoni restano, in essi non comprese, le attuali Regioni a statuto
speciale.
Vengono soppresse le Province (che diventano solo circoscrizioni di decentramento
amministrativo) mentre restano i Comuni.
C1.1. La struttura della Federazione: I diversi livelli di governo nel progetto
Miglio.
- Il Governo della Federazione è composto da un Presidente, eletto direttamente da tutti
i cittadini, e da un Direttorio Federale, del quale fanno parte i tre Governatori dei
Cantoni e, a turno, uno dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale.
- Il Governo dei Cantoni è composto dal Governatore del Cantone, eletto direttamente da
tutti i cittadini, e da un Direttorio Cantonale, formato dai Presidenti delle Regioni
comprese nel Cantone.
- Il Governo delle Regioni è composto dal Presidente della Regione eletto da tutti i
cittadini della Regione e da una Giunta Regionale, formata nei modi stabiliti dal
rispettivo Statuto ma, comunque, nominata dal Presidente della Regione
- Il Governo dei Comuni è costituito da un Sindaco, eletto da tutti i cittadini, e da una
Giunta Comunale nominata dal Sindaco.
C1.2 La struttura della Federazione: i diversi organi
rappresentativi nel modello Miglio.
- A livello federale sono previste due Assemblee:
a) una Assemblea Federale composta di 346 Deputati, di cui 300 Deputati Cantonali, eletti
dalle rispettive Diete Cantonali fra i propri membri, e 46 eletti, al loro interno, dalle
Assemblee delle Regioni speciali.
b) un Senato Legislativo, competente per la legislazione in materia di diritti
individuali, composto di 200 Senatori eletti direttamente, e con metodo proporzionale, da
tutti i cittadini della Federazione.
All'Assemblea Federale spettano i poteri di controllo politico sul Presidente e sul
Direttorio Federale, nonché l' approvazione del bilancio e della legge finanziaria della
Federazione.
Essa, competente comunque per tutte le materie federali, può inoltre approvare le norme
legislative di coordinamento per quelle materie che, assegnate ai Cantoni, richiedono un
minimo di assetto omogeneo.
Il Senato Legislativo ha soltanto competenza legislativa in materia di "Principi
fondamentali e Diritti e doveri dei cittadini", così come elencati e stabiliti dalla
Costituzione.
Le leggi approvate dal Senato richiedono comunque l'assenso della Assemblea federale,
salvo che siano approvate a maggioranza di due terzi.
L' Assemblea federale può, inoltre, delegare al Senato la redazione di leggi in materia
di sua competenza.
- A livello cantonale è prevista una sola Assemblea, detta Dieta Cantonale, i cui membri,
eletti direttamente dai cittadini, sono anche, per un certo numero, membri dell'Assemblea
Federale.
La Dieta Cantonale ha potere legislativo e di controllo politico sul Direttorio cantonale.
- A livello regionale è previsto il Consiglio regionale, eletto secondo le modalità
elettorali stabilite dalle singole Regioni.
Le Regioni, inoltre, possono darsi le strutture organizzative che ritengono più
opportune, fermo restando che tutte devono avere obbligatoriamente un Presidente eletto
direttamente dal popolo.
- A livello comunale è previsto un Consiglio comunale eletto da tutti i cittadini. Ogni
Comune deve avere obbligatoriamente un Sindaco eletto dal popolo.
- Sono previste poi due Consulte, composte entrambe da 30 Sindaci, eletti da tutti i
Sindaci del Cantone o della Federazione:
a) la Consulta Municipale Cantonale
b) la Consulta Municipale Federale
Le due Consulte sono organi consultivi dei rispettivi Direttori e possono fare proposte in
materia di Ambiente, Comunicazioni, Urbanistica.
Per quanto riguarda le competenze, i Cantoni hanno quella legislativa generale nelle
materie non attribuite alla Federazione, mentre le competenze amministrative sono
distribuite su tutti e quattro i livelli di governo.
La Federazione esercita le competenze amministrative nelle materie di propria competenza.
Il sistema finanziario e fiscale è basato sul principio che
i Comuni devono finanziare le loro spese con tributi municipali.
Il gettito degli altri tributi deve essere riscosso, sotto la sorveglianza del Direttorio
Federale, dai Cantoni e dalle Regioni speciali, in funzione del luogo ove la ricchezza è
stata prodotta o scambiata.
Una quota dei tributi è destinata alla Federazione per il suo funzionamento e per la
redistribuzione territoriale delle risorse finanziarie.
C4. Gli istituti di garanzia e la Corte
costituzionale nel modello Miglio
Particolare rilevanza è attribuita, in questo modello, al ruolo degli istituti di
garanzia, dal momento che Miglio considera fondamentale per una Costituzione
"autenticamente federale" l'essere anche una Costituzione "tipicamente
garantista".
In questa ottica è prevista una Corte Costituzionale eletta per un quarto dall'Assemblea
Federale, per un quarto dalle Diete Cantonali e per metà dalle supreme Magistrature.
La Corte è articolata in due sezioni, delle quali una competente a sindacare
l'amministrazione economica". Ogni atto normativo prodotto dai pubblici poteri può
essere sindacato dalla Corte, anche ad iniziativa del "Procuratore della
Costituzione".
La Corte ha inoltre funzioni di garanzia politica, fra le quali quella di sciogliere
l'Assemblea Federale nei casi previsti dalla Costituzione.
Infine il suo Presidente svolge le funzioni del Presidente Federale quando quest' ultimo
sia decaduto e non sia ancora stato eletto il successore.
C5. Gli istituti di garanzia: la revisione costituzionale nel modello Miglio
C6. Qualche "provvisoria" riflessione sul modello Miglio
Nei suoi diversi elementi costitutivi questo modello è assai complesso.
Di conseguenza sarebbe necessaria un'analisi assai approfondita per metterne in luce tutte
le caratteristiche e, soprattutto, le molte contraddizioni.
Qui basti sottolineare quello che appare l'elemento più "preoccupante" di
questa proposta:
- la forma di governo della Federazione è basata sul Direttorio Federale, presieduto dal
Presidente eletto da tutti i cittadini e composto dei tre Governatori più, a turno, un
Presidente di Regione speciale. Il Direttorio decide, nei casi di maggiore importanza e
delicatezza, all'unanimità.
Malgrado il "nome" ,questo sistema non ha niente a che vedere con la forma di
governo direttoriale svizzera.
Questo modello richiama in realtà il sistema instaurato in Jugoslavia dalla Costituzione
federale adottata sotto il regime comunista del Maresciallo Tito.
Quella Costituzione, peraltro, ha potuto reggere il Paese sino a che il Maresciallo e il
suo Partito sono rimasti in vita. Non appena questi due "collanti" sono venuti a
mancare, essa si è dimostrata fra le cause principali della "deflagrazione"
della stessa Federazione.
Il "sistema Miglio" insomma, esattamente come il modello della Jugoslavia di
Tito, è un modello pericolosissimo, perché richiede che i tre Governatori co-governino,
tra l'altro all'unanimità, mentre è di tutta evidenza che i tre Cantoni possono avere
interessi economici del tutto diversi: si pensi infatti all'enorme differenza
dell'economia della c.d. "Padania" da quella del Sud, e alle conseguenti
difficoltà di un Direttorio nel quale le decisioni di politica economica devono essere
adottate all' unanimità.
Di fatto il "sistema Miglio" può stare in piedi solo se il Presidente eletto
direttamente dai cittadini riesce ad essere "fortissimo".
Il che però significa che questo sistema, che pure si configura come
"federalistico", può funzionare solo intorno a un leader carismatico, in grado
di rappresentare in modo forte e "accentrato" l'intera comunità nazionale,
secondo la tipica tradizione "bonapartistica".
C7. Un'ulteriore considerazione
Il progetto Miglio, come in gran parte anche quello presentato dalla Lega Nord a Genova ed
elaborato col rilevante contributo del prof. ORTINO, dimostrano che i modelli pensati
prevalentemente "a tavolino", e caratterizzati soprattutto da preoccupazioni di
carattere scientifico e tecnico, appaiono davvero molto più astratti.
Soprattutto essi, malgrado la raffinatezza di alcune delle soluzioni proposte, sono in un
certo senso comunque meno appaganti di quelli che, come è accaduto per il progetto della
Bicamerale, nascono da un confronto, magari aspro ma profondo, fra le diverse forze
politiche.
Poiché questa riflessione è, come si vedrà, confermata anche dall'analisi del progetto
del "Comitato Speroni" (anch'esso prevalentemente "tecnico") sembra
giusto sottolineare la poca efficacia di cortocircuiti di tipo "tecnocratico" in
una materia così strettamente legata alle ragioni e alle passioni della politica delle
istituzioni.
SPUNTI DI RIFLESSIONE
Il modello del "Comitato Speroni"
Occorre ora esaminare il progetto elaborato dal Comitato Speroni, o,
più esattamente, dal "Comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e
costituzionali" , quale risulta dal testo redatto a cura dell' Ufficio di Segreteria
del Comitato.
Va subito sottolineato che il Comitato Speroni ha prodotto un testo che appare ancora
largamente provvisorio e sostanzialmente improntato a un modello di ordinamento assai poco
federale.
Il progetto elaborato si compone inoltre di materiali fra loro non del tutto omogenei.
Esso non si presenta infatti come un documento organico ma come un insieme di proposte a
seconda dei casi consistenti in:
- a) parziali modifiche ad articoli della Costituzione vigente;
- b) nuovi articoli integralmente sostituitivi di quelli esistenti;
- c) nuovi articoli che dovrebbero integralmente aggiungersi al testo costituzionale
vigente, modificato dalla contestuale approvazione degli emendamenti (dove vengono
proposti soltanto emendamenti) e dalla sostituzione di vecchi articoli con nuove norme
(per le parti in cui in questo consistono le altre proposte fatte).
Tutto questo rende assai difficile una ricostruzione univoca di questo progetto.
D1. La forma di governo: i due modelli proposti dal Comitato Speroni
La questione è poi resa ancora più complessa dal fatto che, per quanto riguarda la forma
di governo dello Stato centrale, vengono presentati due diversi "modelli":
- il primo, definito dallo stesso Comitato come "modello di tipo
semipresidenziale", elaborato dal prof. CIAURRO;
- il secondo, indicato come "modello fondato sull' elezione diretta del Primo
Ministro", redatto dal prof. GALEOTTI.
I due modelli si differenziano sostanzialmente perché il primo, quello
"semipresidenziale" di CIAURRO, è ispirato al sistema presidenziale francese:
prevede cioè un Presidente eletto direttamente dal popolo e un Presidente del Consiglio
che deve avere la fiducia delle Camere.
Il secondo, invece, quello "del Primo Ministro", proposto dal prof. GALEOTTI, è
finalizzato a riproporre in Italia, per via "normativa", il "modello
Westminster" che in Inghilterra si è affermato in via di prassi: un modello secondo
il quale i partiti si presentano alle elezioni indicando già chi sarà il Presidente del
Consiglio della coalizione , se questa vincerà le elezioni.
D2. I rapporti Stato - Regioni - Autonomie locali: i due modelli del Comitato
Speroni
Le proposte del Comitato Speroni sono assai difficili da valutare anche per
quanto riguarda il rapporto fra lo Stato e le Regioni, da un lato; le Regioni e il sistema
delle autonomie locali, dall'altro.
Invece di sciogliere, come ci si sarebbe potuti aspettare, le ambiguità della nostra
Costituzione affermando decisamente il prevalere delle Regioni anche rispetto agli altri
enti a competenza territoriale limitata, questo progetto riconferma le garanzie
costituzionali oggi assicurate a Comuni e Province.
In questo modo si adotta uno schema che qualcuno tenta di "nobilitare" come
"federalismo delle autonomie" ma che in realtà altro non è che la
conservazione dell' attuale sistema delle autonomie locali in contrapposizione a
un'evoluzione in senso decisamente regionale dell'ordinamento.
D2.1 Le conseguenze dei due modelli sulla composizione del Senato
Del resto la contrapposizione fra il modello basato su elementi "forti"
di "regionalismo" e quello indicato come "federalismo delle autonomie"
emerge con tutta evidenza nella parte in cui si ipotizzano due diverse, e alternative,
composizioni "possibili" del Senato.
- Secondo una prima proposta di modifica dell' art.57 Cost., infatti, il Senato dovrebbe
essere composto per una metà di membri rappresentanti delle Regioni e per una metà di
membri rappresentanti dei Comuni e delle Province.
Le Regioni avrebbero un numero di rappresentanti variabile a seconda del numero dei loro
abitanti, mentre nell' ambito di ciascuna Regione Comuni e Province avrebbero un numero di
rappresentanti pari a quello della Regione.
- In base alla seconda proposta, contenuta anche questa nel progetto del Comitato ma
ispirata al sistema tedesco, il Senato sarebbe invece composto soltanto da membri dei
Governi Regionali .
I rappresentanti delle Regioni avrebbero il diritto di esprimere un numero di voti pari a
quello assegnato alla Regione di appartenenza, secondo un meccanismo che attribuisce tre
voti alle Regioni più "piccole" per numero di abitanti fino ad assegnare un
massimo di nove voti a quelle che superano gli otto milioni di abitanti.
Come si comprende bene, di fronte a ipotesi fra loro così diverse e in qualche modo
"opposte", diventa assai difficile esprimere un giudizio ragionato.
D3. La ripartizione delle competenze legislative nella proposta del Comitato
Speroni
A conclusioni non differenti conduce l'esame del progetto Speroni nella parte in cui si
individuano i criteri di ripartizione delle competenze legislative e amministrative fra
Stato, Regioni e Autonomie locali.
Sul piano della ripartizione delle competenze legislative, infatti, il progetto,
riservando allo Stato solo quelle "enumerate" ,appare ispirato a un forte
rafforzamento del ruolo delle Regioni.
Lascia molto perplessi, tuttavia, il fatto che, di fronte a una così ampia attribuzione
di competenze alle Regioni, lo Stato resti privo di ogni potere di "condizionamento
" del legislatore regionale, fosse anche solo per assicurare il mantenimento di quel
"minimo di assetto omogeneo" che persino il modello Miglio considera meritevole
di tutela.
In sostanza, sul piano delle competenze legislative regionali l' ipotesi proposta è assai
più "separatista" del sistema tedesco.
Il che, anche tenendo conto delle oscillazioni già ricordate tra l'ipotesi del
"regionalismo forte" e quella del "federalismo delle autonomie",
lascia davvero perplessi.
D4. La ripartizione delle competenze amministrative nelle proposte del Comitato
Speroni
Per quanto riguarda le competenze amministrative, invece, il progetto attribuisce
totalmente alla legge statale il potere di ripartire "tra Regioni, Province, Comuni
ed altri enti locali le funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa
regionale, secondo il criterio di sussidiarietà".
Peraltro, "le funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello
Stato possono, con legge dello Stato, essere delegate alle Regioni, alle Province, ai
Comuni e agli altri enti locali".
Tutto questo significa che, per quanto riguarda il sistema della ripartizione delle
funzioni amministrative, si adotta un modello ancor più "statocentrico" di
quello attualmente previsto. Infatti in questa ipotesi, sia pure nel rispetto del
principio di sussidiarietà, anche le competenze amministrative regionali sono definite
totalmente dalla legge dello Stato .
D5. Le attività sovranazionali delle Regioni nelle proposte del Comitato Speroni
Non meno rilevanti sono le contraddizioni che caratterizzano il modello complessivo in
virtù delle indicazioni avanzate in materia di attività sovranazionale delle Regioni.
Su questo piano le proposte sono assolutamente "aperte" e tali da consentire un
rilevante ruolo internazionale delle Regioni.
Si prevede, infatti, che le Regioni possano stipulare accordi con altri Stati o con enti
territoriali di altri Stati, limitandosi a chiedere l'assenso del Governo centrale:
assenso che comunque, trascorsi due mesi dalla richiesta, si intende dato.
Si prevede, inoltre, che nelle materie di loro competenza le Regioni possano partecipare
anche alla formazione degli atti della Unione Europea e che, comunque, ad esse spetti dare
attuazione alle direttive comunitarie.
Si tratta dunque di una normativa assai avanzata e ispirata a una prospettiva
"fortemente regionalizzata", secondo una logica che appare oggettivamente poco
compatibile con le restrizioni che caratterizzano invece altre parti del progetto per
quanto riguarda poteri e competenze delle Regioni.
D6. Il sistema finanziario e fiscale nelle proposte del Comitato Speroni
Per quanto riguarda il modello finanziario, l'innovazione proposta consiste nel fatto che
alle Regioni, alle Province e ai Comuni spettano, oltre ai tributi propri, anche quote del
gettito dei tributi erariali prodotte sul proprio territorio.
Ulteriori trasferimenti statali devono essere limitati, per le Regioni, a compensare le
eventuali minori capacità fiscali o a promuovere il riequilibrio delle aree meno
favorite.
Per i Comuni e le Province i trasferimenti statali devono essere commisurati soltanto alla
necessità di assicurare i servizi essenziali su tutto il territorio nazionale.
D7. La forma organizzativa delle Regioni nelle proposte del Comitato Speroni
Per quanto riguarda, infine, la forma organizzativa delle Regioni, il Comitato Speroni
delinea una forma di governo "uniforme" e, così come già oggi è previsto,
"costituzionalmente determinata".
Il che implica un significativo, quanto inaspettato, "passo indietro" rispetto
alle conclusioni della Commissione Bicamerale e alla stessa proposta di legge di revisione
costituzionale presentata, proprio in ordine alle modifiche all' art.122 Cost., dalla
maggioranza di governo nel luglio 1994.
D8. Qualche prima conclusione
In conclusione, anche tenendo conto dei profili esaminati negli ultimi due punti (D6. e
D7.), il progetto del Comitato Speroni appare davvero difficile da comprendere.
Esso si configura assolutamente "chiuso" sotto diversi profili e in particolare:
- per l'uniformità della forma di governo regionale;
- per il trasferimento statale come perno del finanziamento delle Regioni, delle Province
e dei Comuni .
Per altri aspetti, invece, esso appare persino più avanzato di quello tedesco nel senso
di un "forte" federalismo :
- sono su questa linea, in particolare, i limiti ai trasferimenti statali di tributi non
riscossi sul territorio delle Regioni, delle Province e dei Comuni.
In sostanza, sia con riferimento alla parte relativa alla forma di governo dello Stato
centrale sia nella parte che riguarda l' articolazione regionale dell'ordinamento, il
progetto del Comitato Speroni appare ricco di ambiguità e suscettibile di diverse, e
anche contrapposte, ipotesi di attuazione.
Non è possibile dunque esprimere un giudizio "univoco" su questo testo se non
limitandosi a sottolineare che esso presenta alcuni spunti di grande interesse e di
significativa evoluzione dell'ordinamento. Spunti, peraltro, che coesistono con aspetti
che paiono invece tutti orientati a ricercare un compromesso ad ogni costo fra le
"ragioni dell'esistente" e le "suggestioni della riforma".
SPUNTI DI RIFLESSIONE
.
Per completare l'analisi dei progetti di riforma elaborati nel corso di questi mesi è
opportuno fare qualche cenno anche ai lavori della Commissione Maroni.
Come si è già detto, si indica con questo nome il Comitato di studio per la riforma
delle Regioni e della autonomie locali istituito dal Ministro MARONI nel luglio del 1994 e
che ha tenuto la sua ultima seduta il 21 dicembre 1994, pochi giorni prima che il Governo
BERLUSCONI si dimettesse.
E1. I limiti del mandato della Commissione Maroni
La Commissione Maroni si è posta in una prospettiva molto meno ambiziosa del
Comitato Speroni.
Essa, infatti, nel rispetto del mandato del Ministro e del vincolo posto dallo stesso
decreto istitutivo, ha operato "a Costituzione vigente"; ha assunto, cioè, la
normativa costituzionale come un limite "rigido" alla propria attività
propositiva.
L'obiettivo della Commissione Maroni, divisa in due sotto-comitati (Sottocomitato
Ordinamento e Sottocomitato Finanza), è stato dunque quello di individuare un possibile
modello di riforma operando:
- per la normativa ordinamentale, attraverso proposte di eventuali modificazioni alla l.
142 del 1990 e alla l. 81 del 1993;
- per la parte fiscale e finanziaria, attraverso ipotesi di modificazione della
legislazione finanziaria.
E2. Le due diverse ipotesi "strategiche" presenti all'interno della
Commissione Maroni
Di fatto, nella Commissione Maroni si sono scontrate due diverse "ipotesi
strategiche" di riforma, ripetendo in tal modo una vicenda che da più di venti anni
caratterizza ogni discussione in materia di Regioni, Province e Comuni.
E2.1. L' ipotesi "regionalista
Una prima ipotesi, che può essere definita come "regionalista", è quella che
tende a:
- 1) enfatizzare il ruolo delle Regioni nel distribuire le competenze ai Comuni e alle
Province;
- 2) consentire alle Regioni di legiferare anche in materia di ordinamento degli enti
territoriali, riducendo a pochi "limiti" stabiliti dallo Stato gli eventuali
"elementi uniformanti" del sistema delle autonomie locali;
- 3) attribuire alle Regioni poteri incisivi anche in ordine alla definizione delle
risorse a disposizione del sistema degli enti territoriali;
- 4) scontare una non marginale possibilità di ordinamenti locali differenziati
nell'ambito dei diversi ordinamenti regionali;
- 5) imporre alle Regioni il rispetto del principio di sussidiarietà, configurato come l'
obbligo di assegnare comunque a Comuni e Province le competenze amministrative, anche
regionali, che meglio possono essere esercitate nell'ambito territoriale di questi enti.
E2.2. L'ipotesi legata alla valorizzazione delle "autonomie locali"
Una seconda ipotesi è quella basata sulla valorizzazione del "sistema delle
autonomie locali" inteso come sistema complesso e articolato.
Questo modello, più tradizionale e più vicino al modo col quale l'ordinamento locale è
stato "costruito" in questi ultimi venti anni, vuole mantenere:
- 1) una sfera di autonomia dei Comuni e delle Province garantita dalla legge dello Stato,
e quindi sottratta ad ogni potere regionale di attribuzione;
- 2) la competenza statale in materia di ordinamento di Comuni e Province, per difendere
il "valore" del principio di uniformità di questi enti su tutto il territorio
nazionale;
- 3) l'attribuzione di un "potere di differenziazione" soltanto agli stessi
Comuni e Province, col conseguente riconoscimento della fonte statutaria e regolamentare
come fonte propria di questi enti, limitata dalla sola legislazione statale e sottratta ad
ogni intervento della Regione;
- 4) la competenza statale in materia di disciplina del sistema finanziario e tributario
degli enti locali;
- 5) la esclusiva competenza statale in ordine alla applicazione del principio di
sussidiarietà nella distribuzione di competenze fra i diversi livelli di governo.
Il principio propugnato è in sostanza il seguente: spetta allo Stato lasciare ai Comuni e
alle Province quello che, secondo il principio di sussidiarietà, inteso come affidamento
delle funzioni al livello di governo il più possibile vicino ai cittadini, spetta a
questi enti .
E3. Una riflessione
La Commissione Maroni si è trovata di fronte, dunque, a una problematica tanto divaricata
e divaricante quanto perfettamente riconducibile al tradizionale scontro fra
"regionalisti" e "localisti".
Problematica questa assolutamente analoga a quella che, come si è detto , ha segnato
anche i lavori del Comitato Speroni, conducendo alle contraddizioni che caratterizzano le
proposte da essa fatte in materia di Regioni, Province e Comuni.
SPUNTI DI RIFLESSIONE
.
E' possibile ora, al termine di questa lunga analisi sui progetti presentati negli ultimi
due anni, formulare qualche considerazione di carattere più generale.
A. Le contraddizioni "interne" dei diversi progetti
Una prima considerazione è che tutti i progetti esaminati, anche quelli più
"organici", sono caratterizzati da significative contraddizioni interne.
Inoltre tutti i progetti sono orientati più a modificare, anche in misura
"forte" , il sistema politico e la forma di governo dello Stato centrale, che
non a introdurre "significativi e reali elementi di federalismo".
B. La differenza fra il progetto della Commissione Bicamerale e gli altri modelli
Una seconda considerazione è che, malgrado le molte iniziative di questo ultimo anno,
tuttora il progetto "organico" più nettamente orientato verso una effettiva
regionalizzazione dello Stato, resta quello messo a punto dalla Commissione Bicamerale per
le Riforme istituzionali della scorsa legislatura.
Il progetto Miglio, infatti, per quanto indubbiamente molto "organico" e
"complesso", appare in realtà orientato più a "superare la organizzazione
in forma di Stato della Nazione Italiana" che non a delineare una forte
regionalizzazione dello Stato.
Il progetto del Comitato Speroni, dal canto suo, appare, invece, oggettivamente
disorganico e carico di diverse e contraddittorie potenzialità.
Considerazioni analoghe valgono per il progetto della Lega Nord.
Quanto alla Commissione Maroni, infine, essa dichiaratamente si è collocata su un piano
diverso, escludendo dal suo orizzonte ogni ipotesi di riforma costituzionale.
B1. Il tentativo della Commissione Bicamerale di promuovere le riforme per
arginare la crisi del sistema
Il fatto che proprio la Commissione Bicamerale abbia elaborato il progetto
tuttora più seriamente organico dimostra che essa ha davvero creduto nella necessità di
avviare incisive riforme costituzionali per arginare l'imminente collasso, poi
verificatosi, del sistema politico italiano.
Altrettanto importante è poi che quella Commissione abbia individuato proprio in una
forte "regionalizzazione" del sistema una risposta essenziale alla richiesta di
innovazione posta, con sempre maggiore forza, da un Paese che si avviava ormai alla crisi
politica che segnò la fine di quella legislatura.
C. Le contraddizioni del Comitato Speroni e della Commissione Maroni
La terza osservazione riguarda il fatto che tanto il Comitato Speroni quanto la
Commissione Maroni, pur operando in scenari diversi e avendo quindi vincoli e limiti
differenti, hanno dovuto misurarsi con una identica, irrisolta e, nel dibattito italiano,
costantemente presente contraddizione fra la posizione "regionalista" e quella
"localistica",.
Proprio in quella contraddizione, del resto, sta la ragione principale del l'obbiettiva
incapacità, dimostrata dall' uno e dall' altro "gruppo", di elaborare un
progetto "organico" di regionalizzazione dello Stato chiaramente definito e
sufficientemente univoco.
C1. Le cause di queste contraddizioni: ipotesi e "insegnamenti"
E' giusto chiedersi perché questo sia avvenuto.
Taluno potrebbe, infatti, ritenere che quanto è accaduto sia in realtà la spia che non
vi è tuttora nel nostro Paese un orientamento davvero maggioritario a favore di una
trasformazione dell'ordinamento in senso federale o regionale.
Altri potrebbero, invece, ritenere che tutto questo sia la riprova del permanere di
resistenze fortissime a ogni autentico tentativo di riforma.
Il Paese sarebbe cioè paralizzato da una lotta fra "conservatori" e
"innovatori" che segnerebbe profondamente il nostro orizzonte istituzionale e
politico.
In ogni caso si deve registrare che, mentre nella Commissione Bicamerale la necessità
stessa di dare una risposta a una crisi di sistema aveva condotto a superare le resistenze
in ordine alla forma di Stato, nel Comitato Speroni e nella Commissione Maroni, a
transizione ormai profondamente in corso, gli ostacoli sono venuti proprio dalla difficile
conciliabilità delle diverse posizioni in ordine al rapporto tra Stato, Regioni, Province
e Comuni.
Il che riconferma, anche da questo punto di vista, la necessità di interrogarsi a fondo
se la nostra cultura politica e istituzionale sia davvero matura per una incisiva
trasformazione dello Stato in senso regionalista o se, invece, il grado di maturazione del
dibattito non sia sostanzialmente così arretrato da richiedere ancora una fase, non
breve, di discussione e di messa a punto delle rispettive posizioni.
Vi è, infine, un' altra osservazione già fatta che merita di essere richiamata:
quella cioè che sottolinea la maggiore "positività" oggettiva del progetto
della Bicamerale rispetto a quelli di carattere più "scientifico-tecnocratico",
studiati a tavolino da esperti come i professori MIGLIO (progetto Miglio) e ORTINO
(progetto Lega Nord).
Come si è già detto proprio questo aspetto deve essere tenuto ben presente oggi, in un
momento nel quale non manca chi, come Sergio Romano immagina di individuare in
un'Assemblea Costituente composta prevalentemente da tecnici, una utile via di uscita
dalle contraddizioni del processo riformatore in atto.
C.2 L'"insegnamento" più importante.
La questione, probabilmente, non è tanto quella della validità tecnica delle possibili
ipotesi di riforma ( anche se questo è certamente un aspetto importante) quanto quello di
un seria e approfondita discussione sugli sbocchi più utili al caso italiano.
Poiché chi scrive è convinto che una forte accentuazione dell'articolazione regionale
del nostro ordinamento sia non solo opportuna ma anche necessaria, l'auspicio è che
quando di questi temi si tornerà a parlare sia possibile farlo usando almeno un
linguaggio e un sistema concettuale condiviso.
Si chiude qui il "cerchio" di questa riflessione: l'analisi dei progetti è
certamente utile e necessaria; ancora più importante è però verificare se i criteri
proposti si siano dimostrati utili per saggiare le diverse proposte e compararle fra loro.
Se la risposta potrà essere anche solo in parte positiva, lo sforzo qui compiuto non
sarà stato inutile.
Pubblicato in Le regioni, n.2, 1995
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SPUNTI DI RIFLESSIONE