(parte2)


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FEDERALISMO, REGIONALISMO E RIFORMA DELLO STATO

INDICE

Avvertenza
Premessa
Parte I

  1. Federalismo come concetto polivalente
  2. Federalismo come concetto polivalente: continua
  3. Prime conclusioni sull'analisi svolta

 

Parte II

  1. La situazione Italiana
    1. Il sistema costituzionale
    2. I diversi modelli
      1. Il modello elaborato dalla commissione bicamerale
      2. Il modello della Lega Nord
      3. Il modello "Miglio"
      4. Il modello del "Comitato Speroni"
      5. Il modello "Maroni"

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PARTE SECONDA

La situazione Italiana

  1. Il sistema costituzionale
  2. I diversi modelli
    1. Il modello elaborato dalla commissione bicamerale
    2. Il modello della Lega Nord
    3. Il modello "Miglio"
    4. Il modello del "Comitato Speroni"
    5. Il modello "Maroni"


La situazione italiana

1. Il sistema costituzionale


E' opportuno esaminare innanzitutto, sia pure molto rapidamente, il sistema italiano così come disegnato nella Costituzione, considerandone le caratteristiche alla luce dei criteri precedentemente indicati.
Per il vero, il sistema italiano, così come disciplinato nella Costituzione, è, dal punto di vista qui adottato, tutt'altro che privo di ambiguità.
La nostra Costituzione prevede, infatti, una significativa partecipazione della Regione ad alcune attività dello Stato centrale:
- elezione del Presidente della Repubblica;
- iniziativa legislativa;
- potere di chiedere il referendum abrogativo;
- possibilità per almeno cinque Regioni di chiedere l'intervento del popolo nel processo di revisione costituzionale;
- elezione del Senato a base regionale, secondo una formula che avrebbe potuto consentire anche una legge elettorale più vicina al modello americano.
La Costituzione, dunque, nella sua formulazione letterale, aveva lasciato per molti versi aperta la via ad un' evoluzione del modello regionale italiano in senso fortemente federale, con elementi al medesimo tempo originali e vicini sia a quello americano che a quello tedesco.

Sotto altri aspetti, invece, la nostra Costituzione disegna un sistema regionale assai più simile a un complicato sistema di autonomie territoriali locali che a un modello di "regionalismo forte" o di "federalismo".

Questo vale, innanzitutto, per il medesimo art. 5 della Costituzione, che pone le "autonomie locali" e non le Regioni "come tali" al centro dell'articolazione territoriale dell'ordinamento.

Vale poi per l'art. 114 Cost. che, nel definire le articolazioni territoriali della Repubblica, pone su un medesimo piano Regioni, Comuni e Province.

Vale, infine, per quanto riguarda l'ambito dell'autonomia organizzativa propria delle Regioni, per un verso, e di Comuni e Province, per l'altro.

L'autonomia di tutti e tre i livelli di governo è comunque sottoposta a forti vincoli "uniformanti": da parte della stessa Costituzione, per quanto riguarda le Regioni; da parte della legge generale della Repubblica, per quanto riguarda Comuni e Province.


La Costituzione disciplina inoltre la ripartizione della competenza legislativa fra Stato e Regioni, limitando quella del legislatore regionale "costituzionalmente garantita" alle materie "enumerate" e consentendo al legislatore statale di dettare, attraverso i principi fondamentali, gli elementi "uniformanti" che esso ritiene di volta in volta più opportuni.
Altrettanto "limitata" è la competenza amministrativa delle Regioni.

Innanzitutto essa è "garantita" solo nelle materie di competenza legislativa.

In secondo luogo, anche a non voler tener conto del "ritaglio in alto" operato dallo Stato con modalità "extra-costituzionali", resta fermo che il legislatore statale ex art. 128 e 118 Cost. può operare un ampio "ritaglio in basso" attribuendo competenze amministrative di interesse locale ai Comuni e alle Province.

Infine, come è ben noto, i Comuni e le Province sono regolati dalla legge statale.
Il che significa che comunque il sistema dell'amministrazione locale è concepito come "separato" rispetto all' ordinamento regionale: con la conseguenza che le funzioni amministrative di interesse locale eventualmente "sottratte" alle Regioni sono assegnate a un sistema di amministrazione locale sostanzialmente "uniformata" o "uniformabile" da parte del legislatore statale, almeno per quanto riguarda i modelli organizzativi fondamentali.
Del resto la stessa esperienza della l. 142 del 1990 e delle difficoltà di attuazione dell'art. 3 di quella legge dimostra la solidità "strutturale" dei limiti che caratterizzano il modo col quale è "costruita" la competenza amministrativa regionale nel nostro ordinamento.

Ovviamente l'analisi dovrebbe essere ulteriormente sviluppata e si dovrebbe tener conto anche della possibilità per il legislatore statale di ampliare la competenza legislativa e, soprattutto, quella amministrativa delle Regioni e della facoltà per le stesse di delegare proprie competenze o funzioni amministrative agli enti territoriali.
Il che, per certi aspetti, consente di dire che nelle pieghe dell'art. 117 u.c., ma soprattutto dell'art. 118 Cost., avrebbero potuto esservi (e potrebbero esservi, giacché la via sinora seguita può essere corretta anche dal legislatore ordinario) elementi per consentire anche un'evoluzione possibile del sistema italiano secondo moduli analoghi a quello tedesco.
Tuttavia, anche senza sviluppare questi ulteriori elementi di analisi, è possibile osservare che la nostra Costituzione ha adottato un modello molto singolare.
Per certi aspetti, infatti, il sistema costituzionale sembra orientato verso un "regionalismo forte" mentre per altri profili pare invece fondare un ordinamento molto centralistico, seguendo un modello che ha finito per prevalere ed ha segnato la sostanziale "marginalizzazione" delle Regioni.

Osservazioni analoghe valgono per quanto riguarda il modello finanziario.
L'art. 119 Cost., infatti, prevede sostanzialmente non solo la perequazione fra le Regioni ma anche che questa sia totalmente rimessa alla competenza dello Stato.
Il meccanismo adottato per disciplinare i trasferimenti ha poi contribuito molto a rafforzare il ruolo dello Stato centrale, giacché, come è ben noto, la legislazione ordinaria ha adottato un modello, fiscale e finanziario, tutto imperniato intorno ai trasferimenti dallo Stato alle Regioni, ai Comuni e alle Province.
Trasferimenti originariamente organizzati attraverso il fondo comune dell'art. 8 della l. 281 del 1970, con fortissimi effetti perequativi e redistributivi fra le diverse Regioni, e poi sempre più affidato, di fatto, a finanziamenti di settore, a "trasferimento vincolato", dallo Stato alle Regioni.

Se, dunque, guardiamo al sistema costituzionale, così come disciplinato nella Costituzione del 1948, e teniamo altresì conto del modo col quale questo sistema è stato attuato nella legislazione ordinaria, non possiamo che convenire sull'estrema "debolezza" del regionalismo italiano.
Debolezza tale da aver fatto ritenere a molti che in Italia non si possa parlare tanto di un sistema imperniato sul rapporto tra Stato e Regioni , quanto piuttosto di un ordinamento che vede i propri elementi fondamentali da un lato nello Stato centrale e dall'altro nel sistema delle autonomie locali previsto e tutelato dall'art.5 Cost.
Modello, dunque, assai lontano da ogni prospettiva di significativo "federalismo" quale che sia il significato col quale si intende usare questa espressione

 

SPUNTI DI RIFLESSIONE


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2. I diversi modelli proposti oggi in Italia


Negli ultimi anni, nell'ambito della difficile transizione in atto e del dibattito da tempo aperto ( e mai concluso) in materia di riforme istituzionali, sono state elaborate, sia in sedi extraistituzionali sia in sedi istituzionali (Parlamento e, più recentemente, col Ministro Speroni, Governo) numerosi progetti e proposte di riforma costituzionale e istituzionale.


A. IL modello della Commissione bicamerale per le Riforme istituzionali



Per "modello della bicamerale" si intende quello elaborato e approvato durante i lavori della Commissione Bicamerale per le Riforme istituzionali operante nella scorsa legislatura e presieduta in una prima fase dall'on. De Mita e successivamente dall'on. Jotti. .

Questa Commissione, istituita nel settembre del 1992 e successivamente disciplinata con legge costituzionale del 6 agosto 1993 (l. cost. n. 1 del 1993), aveva il compito di definire un progetto organico di riforma della parte II^ della Costituzione italiana:
progetto che la Commissione, pur attraverso difficoltà rilevanti, è comunque riuscita ad elaborare e che, dopo l'approvazione dell'articolato da parte della Commissione stessa, è stato consegnato in via ufficiale ai due rami del Parlamento proprio la settimana immediatamente precedente allo scioglimento della Legislatura .

Questo testo costituisce, per la parte che qui interessa, un punto fermo di notevole importanza, anche se certamente esso, in quanto tale, è destinato a seguire la sorte dei tanti progetti che nelle ultime legislature sono stati consegnati agli archivi di Camera e Senato.

A1. La Commissione Bicamerale e la partecipazione delle Regioni alla formazione degli organi centrali dello Stato.
Utilizzando lo schema sinora seguito, ed i criteri di analisi precedentemente indicati, si deve innanzitutto dire che il modello elaborato dalla Commissione Bicamerale non prevede nessuna incisiva partecipazione delle Regioni agli organi centrali dello Stato.
Né la Camera né il Senato vengono "regionalizzate" in modo significativo. Né il modello statunitense né quello tedesco vengono seguiti. Il Parlamento, pur bicamerale, resta sostanzialmente rappresentativo del popolo italiano unitariamente considerato.


A2. La Commissione Bicamerale e la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni

La proposta della Commissione Bicamerale appare invece assai più interessante e innovativa per quanto riguarda i criteri di ripartizione della competenza legislativa fra Stato centrale e Regioni.

In questo modello, come si è già detto, viene infatti rovesciato il meccanismo attualmente previsto dalla nostra Costituzione, procedendo a un ridisegno della ripartizione delle competenze legislative Stato-Regioni piuttosto complicato.
A2.1 Si prevede :
1) che lo Stato abbia competenze esclusive in materie enumerate e che in tutte le altre materie la competenza sia, comunque, attribuita alle Regioni.
2) che la competenza legislativa delle Regioni possa essere di due tipi:
a) esclusiva in materie "enumerate";
b) residuale in tutte le altre materie non specificamente attribuite alla competenza esclusiva dello Stato o delle stesse Regioni.
Un modello, dunque, a "tre colonne": materie statali, materie regionali, materie regionali non enumerate.


A2.2 La proposta della Commissione Bicamerale prevede poi:
- che lo Stato, nelle materie esclusive affidate alla sua competenza, possa legiferare col solo limite della Costituzione;
- che nelle materie attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni, lo Stato possa solo stabilire le norme (ovviamente "uniformanti") relative ai diritti fondamentali dei cittadini;
- che nelle materie non enumerate, attribuite comunque alla competenza del legislatore regionale, lo Stato possa, con leggi organiche, stabilire i principi fondamentali vincolanti il legislatore regionale.
A2.3 In sostanza, è una proposta che, malgrado paia "rovesciare" del tutto il sistema esistente, suscita comunque molte perplessità perché sembra consentire applicazioni fra loro molto diverse.

Potenzialmente, infatti, sembra potersi sviluppare secondo le linee proprie del modello tedesco, ma proprio lo studio di quel sistema ci dice che l'autonomia legislativa dei Lander è di fatto assai più limitata di quanto le norme costituzionali, se approvate, potrebbero permettere alle Regioni italiane.
Nella proposta della Commissione Bicamerale, inoltre, non è previsto il criterio della sussidiarietà alla "tedesca", dominante invece nella Costituzione della Germania federale; anche se è vero che le leggi-cornice statali, previste in tutte le materie non attribuite alla competenza esclusiva ed enumerata delle Regioni, potrebbero comunque consentire un forte potere di intervento dello Stato, per certi aspetti almeno potenzialmente paragonabile a quello del Bund.

Nelle materie enumerate, attribuite alla competenza esclusiva della Regione, è, poi, prevista la clausola secondo la quale lo Stato può sempre intervenire per salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini: clausola questa di per sé abbastanza restrittiva, anche se molto potrebbe dipendere poi dagli orientamenti della successiva giurisprudenza della Corte Costituzionale.

A3. La Commissione Bicamerale e la ripartizione di competenze amministrative tra Stato e Regioni.

Per quanto riguarda le competenze amministrative, il modello della Commissione Bicamerale stabilisce che, salvo che nelle poche materie attribuite in via esclusiva allo Stato, in tutte le altre la competenza amministrativa spetti alla Regione. Toccherebbe poi a questa definire quali di queste competenze amministrative debbano essere attribuite a Comuni e Province.
Su questo piano, dunque, il salto rispetto alla realtà attuale è certamente più netto, e delinea una prospettiva che richiama significativamente il modello tedesco.

Sul piano amministrativo, in sostanza, il progetto della Commissione Bicamerale propone un vero e proprio "rovesciamento" del modello esistente.
Esso implica, infatti, un fortissimo rafforzamento delle Regioni: aspetto confermato, e non contraddetto, dal fatto che spetta ad esse stabilire quali delle competenze loro assegnate debbano essere esercitate dalle Province e dai Comuni.


A4. La Commissione Bicamerale e il sistema finanziario e fiscale

Per quanto riguarda il sistema finanziario, il modello della Bicamerale continua a prevedere l'esistenza di un fondo perequativo gestito dallo Stato. Stabilisce però che questo fondo deve essere utilizzato secondo parametri fissi, determinati dalla stessa Costituzione.

Il progetto prevede, poi, che lo Stato centrale possa assegnare alle Regioni ulteriori risorse per investimenti specifici.

Anche su questo piano, dunque, il riferimento al modello tedesco è evidente.

A5. La Commissione Bicamerale e le attività sovraregionali e internazionali delle Regioni

Nella proposta della Commissione Bicamerale non c'è nessuna indicazione precisa per quanto riguarda la facoltà per le Regioni di sviluppare relazioni internazionali.
Ogni decisione in merito è, infatti, rimessa alle successive decisioni del legislatore nazionale al quale spetta, nell'ambito della propria competenza esclusiva, consentire o meno alle Regioni di stipulare accordi internazionali.
Una certa "apertura" vi è invece, nel progetto della Bicamerale, per quanto riguarda gli accordi infra-regionali che rientrano nelle materie attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni.

A6. Legge elettorale e forma di governo delle Regioni nel progetto della Commissione Bicamerale
(cenni sulla discussione svoltasi in Parlamento nell'estate 1994 e prospettive future)
Va ancora sottolineato che il modello della Commissione Bicamerale è di particolare interesse per quanto riguarda la possibilità di consentire alle Regioni di decidere la propria forma di governo e la propria legge elettorale.

E' una prospettiva, questa, che sconta potenziali, profonde, differenze fra le diverse Regioni, rinunciando alla "uniformizzazione" sul delicatissimo versante dei futuri sistemi politico-istituzionali regionali.
E' del resto questa una linea che ha già condotto, proprio nell'estate del 1993, all'approvazione della l. cost. n.2 /93 , con la quale si è introdotta nell'ordinamento una grande potenzialità di differenziazione delle Regioni a statuto speciale, proprio in ordine alla loro forma di governo e alla legge elettorale degli enti territoriali insistenti sul loro territorio.
Peraltro, alcune delle indicazioni contenute, su questi punti, nel testo della Commissione Bicamerale sono state riprese, non senza qualche forzatura, nell'attuale legislatura.
E proprio sulla proposta, avanzata dalla maggioranza di governo dell'epoca ,di modificare l'art. 122 Cost. consentendo alle Regioni di adottare la forma di governo e il sistema elettorale che preferissero ( ampia potenzialità di differenziazione) purché fosse garantita l'elezione diretta del presidente della Regione e un sistema elettorale maggioritario a turno unico (elementi fortemente uniformanti), nel settembre del 1994 si è interrotto, in seguito al voto contrario dell'Assemblea di Montecitorio, il più significativo tentativo di riforma della normativa costituzionale sviluppatosi in Parlamento nel corso di questi primi mesi di legislatura. Tentativo, questo, che ha tenuto impegnata la I Commissione Affari costituzionali della Camera dal 12 luglio al 14 settembre 1994 e il cui fallimento è stata poi una concausa dell'affannosa vicenda che ha condotto all'approvazione, con legge ordinaria, della nuova legge elettorale regionale (l. 23 febbraio 1995 n. 43)
Tuttavia, malgrado queste ultime vicende, sembra giusto ritenere che ipotesi di evoluzione del nostro ordinamento orientate in questo senso (magari con elementi "uniformanti" meno incisivi o di altro carattere) siano destinate a tornare comunque sul tavolo delle discussioni in materia di riforma di questa parte della Costituzione.

 

SPUNTI DI RIFLESSIONE


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B.Il modello della Lega Nord


Prendiamo ora in esame il progetto presentato dalla LEGA NORD durante l'Assemblea Federale tenutasi a Genova il 6 dicembre 1993.

Va detto subito detto, peraltro, che questo modello è molto lontano da quello del Comitato Speroni (v. infra sub D), anche se lo stesso on. SPERONI, in quanto uomo di partito e non in quanto Ministro, ha partecipato, nel corso dell'Assemblea di Genova, alla presentazione di quel progetto.

B1. La eccessiva complessità del modello Lega Nord.

Il progetto della LEGA NORD, per quanto elaborato con l'aiuto del prof. ORTINO, appare ben difficilmente attuabile.

Si tratta infatti di un modello molto complesso che prevede una Federazione, 9 Stati e 20 Regioni, oltre ai Comuni e alle Province. Ben cinque livelli di governo a competenza territoriale differenziata, dunque, secondo una linea di complicazione, e non certo di semplificazione, del sistema di governo e di amministrazione del Paese.

Da questo punto di vista si tratta di un progetto che eccessivamente "barocco" e comunque troppo complicato. In particolare non si comprende bene la ragione della creazione dei 9 nuovi Stati, uno dei quali, quello della Campania-Calabria, persino privo della continuità territoriale.
Assai rilevanti sono inoltre anche le perplessità che suscita l'organizzazione complessiva del nuovo sistema proposto.


B2 . Gli Stati e gli organi centrali della Federazione nel modello della Lega Nord

Appare innanzitutto assai singolare che, dopo aver creato un sistema così complesso, non sia prevista nessuna reale partecipazione degli Stati agli organi centrali della Federazione.

In sostanza, per quanto riguarda la formazione degli organi federali, e quindi la loro capacità rappresentativa, il modello elaborato appare assai vicino a quello all'attuale Costituzione italiana.
La stessa "Camera degli Stati" è , infatti, soltanto eletta "a base statuale", secondo un criterio analogo a quello del nostro attuale Senato che, come è noto, è, per vincolo costituzionale, anch' esso eletto a base regionale: nulla a che vedere dunque con la Camera della " pari rappresentanza" degli Stati, alla maniera del Senato USA, o con la Camera dei Lander, alla maniera tedesca.


B3. La distribuzione delle competenze fra i diversi livelli di governo nel modello della Lega Nord

Per quanto riguarda la distribuzione delle competenze fra i cinque livelli di governo, il progetto prevede che la Federazione abbia competenza esclusiva in un certo numero di materie.
Questa competenza esclusiva è, però, divisa in due categorie distinte:
- per alcune materie la funzione legislativa è esercitata da entrambi i rami del Parlamento, e cioè sia dall' "Assemblea Federale" che dalla "Camera degli Stati";
- per un'altra serie di materie invece la competenza è attribuita alla sola Assemblea Federale.

Tutto ciò che non è riservato alla Federazione, è poi attribuito alla competenza degli Stati.
Peraltro gli Stati incontrano gli stessi vincoli che l'art. 121 della nostra Costituzione prevede oggi per le Regioni: è, cioè, fatto divieto di imporre dazi, di ostacolare l'attività lavorativa dei cittadini e di porre limiti alla libertà di circolazione fra Stato e Stato.

Infine gli Stati possono, a loro volta, delegare una parte delle loro competenze legislative alle Regioni, stabilendo, se credono, principi e vincoli che queste devono rispettare.
Il quadro complessivo che ne risulta appare veramente assai complicato:

- la competenza esclusiva della Federazione è esercitata, a seconda delle materie, ora da entrambe le Camere ora da una sola;

- gli Stati esercitano ogni residua competenza legislativa;

- le Regioni esercitano le competenze loro delegate di volta in volta dagli Stati, e secondo i vincoli da questi posti.



B3. La ripartizione delle competenze amministrative fra i diversi livelli di governo nel modello della Lega Nord
Per quanto riguarda, poi, la ripartizione delle funzioni amministrative, il sistema proposto appare ancora più "singolare".
La Federazione esercita ogni funzione amministrativa nelle materie assegnate alla sua competenza esclusiva.

In ogni altra materia, pur essendo la competenza legislativa riservata agli Stati, l'attività amministrativa spetta alle Regioni.

I 9 Stati. dunque, non hanno una "propria" amministrazione: l'amministrazione è federale, per le competenze esclusive della Federazione; regionale, per le competenze legislative degli Stati.


B4. Il sistema dei controlli sull'attività degli Stati nel modello della Lega Nord
Per quanto riguarda i controlli, il progetto della Lega appare ispirato a una logica assai vicina a quella del sistema costituzionale attuale.
Gli Stati sono infatti sottoposti a controlli federali molto penetranti, del tutto incoerenti con l'articolazione complessiva dell'ordinamento proposto.

B5. Indeterminatezza del sistema fiscale nel modello della Lega Nord
Nulla è specificato, in questo modello, per quanto riguarda il sistema fiscale.
Ci si limita, infatti, ad affermare che questo dovrà essere organizzato in modo che ogni livello di governo possa far fronte con entrate proprie alle spese di sua competenza, ma manca ogni indi cazione per quanto riguarda i meccanismi di perequazione e gli altri elementi che devono necessariamente caratterizzare un sistema fiscale "compiuto" .

B6. Carenza di ogni previsione in merito agli accordi interstatuali o internazionali degli Stati membri nel modello della Lega Nord

Manca ogni previsione in ordine alla possibilità di accordi infraregionali o infrastatuali, e nulla è stabilito per quanto riguarda la capacità di diritto internazionale degli Stati membri.

B7. Una riflessione "interlocutoria"
Il progetto presentato a Genova dalla LEGA NORD appare obiettivamente ancora molto segnato dalle caratteristiche di uno studio elaborato a tavolino che tiene eccessivamente conto di suggestioni e di esperienze, anche straniere, tra loro assai diverse.

Su aspetti fondamentali esso è troppo "sfuggente", o eccessivamente legato ad alcune caratteristiche del sistema costituzionale vigente. Soprattutto molto forte resta il legame con una visione centralistica dello Stato-apparato.

Sembra dunque inevitabile assumere anche questo progetto come un "segno" importante della difficoltà, che oggi si registra nel nostro Paese, di elaborare un progetto di trasformazione dello Stato davvero completo e maturo , che non risenta in modo profondo o di suggestioni accademiche o di condizionamenti culturali che non si riescono a superare.

B.8 Una "postilla"
Alcune delle carenze più rilevanti riscontrate nel "progetto di Genova" della Lega nord sono state successivamente "corrette", in sede di elaborazione del già più volte citato disegno di legge costituzionale a firma Speroni e altri presentato al Senato il 18 gennaio 1995 ( progetto di legge che nulla ha a che vedere con le proposte avanzate dal Comitato Speroni, sulle quali v. infra sub D).
Fra queste carenze quelle che appaiono prese maggiormente in considerazione riguardano proprio la composizione degli organi centrali della Federazione e le garanzie costituzionali.
Si prevede infatti un Senato federale composto secondo il modello tedesco, come Camera degli Stati, e si prevede che comunque nessuna modificazione alla Costituzione federale possa avvenire senza il consenso della Assemblea degli Stati e delle Regioni (organo composta dai componenti dei Governi degli Stati e dei Governi delle Regioni) da ottenersi a maggioranza dei due terzi dei loro componenti. Sono previste poi particolari forme di aggravamento per le modifiche costituzionali in materia di riparto di competenze o di rapporti con la Comunità Europea ed è previsto anche che un terzo dei membri della Corte costituzionale sia eletto dalle Assemblea degli Stati e delle Regioni, pur senza specificare le modalità di elezione.
Infine questo progetto contiene una lunga e articolata disposizione normativa per quanto riguarda il sistema dei trasferimenti possibili di risorse fra Federazione e Stati e fra Stati. La norma tuttavia, pur essendo in qualche aspetto ispirata dall'esempio tedesco appare assai complessa, da un lato, assai poco tecnicamente perfezionata, dall' altro.
Non mancano infine, in via generale, sforzi anche complessi di "riscrivere" in senso federale tutta la Costituzione, a partire dall'art. 5 per passare attraverso un gran numero di norme della stessa prima parte della Costituzione.
E tuttavia può ben dirsi che nel suo complesso il progetto contenuto nella proposta di legge costituzionale 18 gennaio 1995, primo firmatario Speroni, lascia non meno perplessi di quello presentato a Genova dalla Lega Nord.
Entrambi infatti appaiono privi di un reale e solido impianto ordinamentale e preoccupati essenzialmente di introdurre comunque elementi di federalismo nel sistema italiano.
Occorre comunque riconoscere che, se non altro per l'attenzione prestata alla composizione del Senato, alle garanzie costituzionali e ai problemi connessi alla redistribuzione delle risorse, il progetto Speroni appare assai più "raffinato" di quello a suo tempo presentato a Genova.
Ed è indiscutibile che nell'accentuata valorizzazione dei Governi statali e regionali propria nel disegno di legge costituzionale a primo firmatario Speroni si colgono influenze assai significative del progetto, tutto a impianto "direttoriale", proprio dell' elaborazione di Miglio.

 

 


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C. Il modello Miglio

.

Il modello Miglio, almeno nelle sue linee essenziali, e per quanto ne è stato reso noto come "Modello di Costituzione federale", pubblicato in "CUORE E CRITICA", dicembre 1994, si presenta come un progetto molto "pensato".
Tuttavia esso, per una parte, sembra eccessivamente "astratto" .
Per un'altra parte, invece, pare mirare a un sistema che, al di là della apparente "complicatezza semplificante", sarebbe destinato a reggersi unicamente intorno a figure carismatico-plebiscitarie.

C1. La struttura della Federazione: i tre Cantoni e le Regioni speciali nel modello Miglio

E' prevista una "Federazione" composta di tre Cantoni, ciascuno dei quali comprende al suo interno un certo numero delle attuali Regioni ordinarie.

Accanto ai tre Cantoni restano, in essi non comprese, le attuali Regioni a statuto speciale.
Vengono soppresse le Province (che diventano solo circoscrizioni di decentramento amministrativo) mentre restano i Comuni.


C1.1. La struttura della Federazione: I diversi livelli di governo nel progetto Miglio.

- Il Governo della Federazione è composto da un Presidente, eletto direttamente da tutti i cittadini, e da un Direttorio Federale, del quale fanno parte i tre Governatori dei Cantoni e, a turno, uno dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale.
- Il Governo dei Cantoni è composto dal Governatore del Cantone, eletto direttamente da tutti i cittadini, e da un Direttorio Cantonale, formato dai Presidenti delle Regioni comprese nel Cantone.
- Il Governo delle Regioni è composto dal Presidente della Regione eletto da tutti i cittadini della Regione e da una Giunta Regionale, formata nei modi stabiliti dal rispettivo Statuto ma, comunque, nominata dal Presidente della Regione
- Il Governo dei Comuni è costituito da un Sindaco, eletto da tutti i cittadini, e da una Giunta Comunale nominata dal Sindaco.

C1.2 La struttura della Federazione: i diversi organi rappresentativi nel modello Miglio.

- A livello federale sono previste due Assemblee:
a) una Assemblea Federale composta di 346 Deputati, di cui 300 Deputati Cantonali, eletti dalle rispettive Diete Cantonali fra i propri membri, e 46 eletti, al loro interno, dalle Assemblee delle Regioni speciali.

b) un Senato Legislativo, competente per la legislazione in materia di diritti individuali, composto di 200 Senatori eletti direttamente, e con metodo proporzionale, da tutti i cittadini della Federazione.
All'Assemblea Federale spettano i poteri di controllo politico sul Presidente e sul Direttorio Federale, nonché l' approvazione del bilancio e della legge finanziaria della Federazione.
Essa, competente comunque per tutte le materie federali, può inoltre approvare le norme legislative di coordinamento per quelle materie che, assegnate ai Cantoni, richiedono un minimo di assetto omogeneo.
Il Senato Legislativo ha soltanto competenza legislativa in materia di "Principi fondamentali e Diritti e doveri dei cittadini", così come elencati e stabiliti dalla Costituzione.
Le leggi approvate dal Senato richiedono comunque l'assenso della Assemblea federale, salvo che siano approvate a maggioranza di due terzi.
L' Assemblea federale può, inoltre, delegare al Senato la redazione di leggi in materia di sua competenza.


- A livello cantonale è prevista una sola Assemblea, detta Dieta Cantonale, i cui membri, eletti direttamente dai cittadini, sono anche, per un certo numero, membri dell'Assemblea Federale.
La Dieta Cantonale ha potere legislativo e di controllo politico sul Direttorio cantonale.



- A livello regionale è previsto il Consiglio regionale, eletto secondo le modalità elettorali stabilite dalle singole Regioni.

Le Regioni, inoltre, possono darsi le strutture organizzative che ritengono più opportune, fermo restando che tutte devono avere obbligatoriamente un Presidente eletto direttamente dal popolo.
- A livello comunale è previsto un Consiglio comunale eletto da tutti i cittadini. Ogni Comune deve avere obbligatoriamente un Sindaco eletto dal popolo.
- Sono previste poi due Consulte, composte entrambe da 30 Sindaci, eletti da tutti i Sindaci del Cantone o della Federazione:
a) la Consulta Municipale Cantonale
b) la Consulta Municipale Federale
Le due Consulte sono organi consultivi dei rispettivi Direttori e possono fare proposte in materia di Ambiente, Comunicazioni, Urbanistica.

C2. Ripartizione delle competenze legislative e amministrative nel modello Miglio



Per quanto riguarda le competenze, i Cantoni hanno quella legislativa generale nelle materie non attribuite alla Federazione, mentre le competenze amministrative sono distribuite su tutti e quattro i livelli di governo.

La Federazione esercita le competenze amministrative nelle materie di propria competenza.

C3. Il sistema finanziario e fiscale nel modello Miglio

Il sistema finanziario e fiscale è basato sul principio che i Comuni devono finanziare le loro spese con tributi municipali.

Il gettito degli altri tributi deve essere riscosso, sotto la sorveglianza del Direttorio Federale, dai Cantoni e dalle Regioni speciali, in funzione del luogo ove la ricchezza è stata prodotta o scambiata.

Una quota dei tributi è destinata alla Federazione per il suo funzionamento e per la redistribuzione territoriale delle risorse finanziarie.

C4. Gli istituti di garanzia e la Corte costituzionale nel modello Miglio

Particolare rilevanza è attribuita, in questo modello, al ruolo degli istituti di garanzia, dal momento che Miglio considera fondamentale per una Costituzione "autenticamente federale" l'essere anche una Costituzione "tipicamente garantista".

In questa ottica è prevista una Corte Costituzionale eletta per un quarto dall'Assemblea Federale, per un quarto dalle Diete Cantonali e per metà dalle supreme Magistrature.
La Corte è articolata in due sezioni, delle quali una competente a sindacare l'amministrazione economica". Ogni atto normativo prodotto dai pubblici poteri può essere sindacato dalla Corte, anche ad iniziativa del "Procuratore della Costituzione".
La Corte ha inoltre funzioni di garanzia politica, fra le quali quella di sciogliere l'Assemblea Federale nei casi previsti dalla Costituzione.
Infine il suo Presidente svolge le funzioni del Presidente Federale quando quest' ultimo sia decaduto e non sia ancora stato eletto il successore.

 

C5. Gli istituti di garanzia: la revisione costituzionale nel modello Miglio

Singolare attenzione è attribuita anche al problema dei modi e dei limiti della revisione costituzionale.

In particolare, devono essere definite le parti della Costituzione che non possono essere modificate per almeno un ventennio e deve essere previsto che, "a regime", si possa procedere a revisione costituzionale solo ogni trenta anni.
Vi è, soprattutto in questa ultima previsione, il segno più evidente di una certa astrattezza culturale e intellettuale: i trenta anni sono fissati, infatti, in quanto "intervallo medio" fra le generazioni.
Tuttavia non si può non apprezzare l'importanza che in questo progetto è assegnata al ruolo di garanzia della Costituzione, e la cura con la quale, di conseguenza, ne sono individuati i limiti contenutistici e procedurali.


C6. Qualche "provvisoria" riflessione sul modello Miglio


Nei suoi diversi elementi costitutivi questo modello è assai complesso.

Di conseguenza sarebbe necessaria un'analisi assai approfondita per metterne in luce tutte le caratteristiche e, soprattutto, le molte contraddizioni.

Qui basti sottolineare quello che appare l'elemento più "preoccupante" di questa proposta:
- la forma di governo della Federazione è basata sul Direttorio Federale, presieduto dal Presidente eletto da tutti i cittadini e composto dei tre Governatori più, a turno, un Presidente di Regione speciale. Il Direttorio decide, nei casi di maggiore importanza e delicatezza, all'unanimità.

Malgrado il "nome" ,questo sistema non ha niente a che vedere con la forma di governo direttoriale svizzera.

Questo modello richiama in realtà il sistema instaurato in Jugoslavia dalla Costituzione federale adottata sotto il regime comunista del Maresciallo Tito.
Quella Costituzione, peraltro, ha potuto reggere il Paese sino a che il Maresciallo e il suo Partito sono rimasti in vita. Non appena questi due "collanti" sono venuti a mancare, essa si è dimostrata fra le cause principali della "deflagrazione" della stessa Federazione.
Il "sistema Miglio" insomma, esattamente come il modello della Jugoslavia di Tito, è un modello pericolosissimo, perché richiede che i tre Governatori co-governino, tra l'altro all'unanimità, mentre è di tutta evidenza che i tre Cantoni possono avere interessi economici del tutto diversi: si pensi infatti all'enorme differenza dell'economia della c.d. "Padania" da quella del Sud, e alle conseguenti difficoltà di un Direttorio nel quale le decisioni di politica economica devono essere adottate all' unanimità.

Di fatto il "sistema Miglio" può stare in piedi solo se il Presidente eletto direttamente dai cittadini riesce ad essere "fortissimo".
Il che però significa che questo sistema, che pure si configura come "federalistico", può funzionare solo intorno a un leader carismatico, in grado di rappresentare in modo forte e "accentrato" l'intera comunità nazionale, secondo la tipica tradizione "bonapartistica".

C7. Un'ulteriore considerazione


Il progetto Miglio, come in gran parte anche quello presentato dalla Lega Nord a Genova ed elaborato col rilevante contributo del prof. ORTINO, dimostrano che i modelli pensati prevalentemente "a tavolino", e caratterizzati soprattutto da preoccupazioni di carattere scientifico e tecnico, appaiono davvero molto più astratti.

Soprattutto essi, malgrado la raffinatezza di alcune delle soluzioni proposte, sono in un certo senso comunque meno appaganti di quelli che, come è accaduto per il progetto della Bicamerale, nascono da un confronto, magari aspro ma profondo, fra le diverse forze politiche.
Poiché questa riflessione è, come si vedrà, confermata anche dall'analisi del progetto del "Comitato Speroni" (anch'esso prevalentemente "tecnico") sembra giusto sottolineare la poca efficacia di cortocircuiti di tipo "tecnocratico" in una materia così strettamente legata alle ragioni e alle passioni della politica delle istituzioni.

 

SPUNTI DI RIFLESSIONE


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D.

Il modello del "Comitato Speroni"


Occorre ora esaminare il progetto elaborato dal Comitato Speroni, o, più esattamente, dal "Comitato di studio sulle riforme istituzionali, elettorali e costituzionali" , quale risulta dal testo redatto a cura dell' Ufficio di Segreteria del Comitato.
Va subito sottolineato che il Comitato Speroni ha prodotto un testo che appare ancora largamente provvisorio e sostanzialmente improntato a un modello di ordinamento assai poco federale.

Il progetto elaborato si compone inoltre di materiali fra loro non del tutto omogenei.
Esso non si presenta infatti come un documento organico ma come un insieme di proposte a seconda dei casi consistenti in:
- a) parziali modifiche ad articoli della Costituzione vigente;
- b) nuovi articoli integralmente sostituitivi di quelli esistenti;
- c) nuovi articoli che dovrebbero integralmente aggiungersi al testo costituzionale vigente, modificato dalla contestuale approvazione degli emendamenti (dove vengono proposti soltanto emendamenti) e dalla sostituzione di vecchi articoli con nuove norme (per le parti in cui in questo consistono le altre proposte fatte).

Tutto questo rende assai difficile una ricostruzione univoca di questo progetto.


D1. La forma di governo: i due modelli proposti dal Comitato Speroni

La questione è poi resa ancora più complessa dal fatto che, per quanto riguarda la forma di governo dello Stato centrale, vengono presentati due diversi "modelli":
- il primo, definito dallo stesso Comitato come "modello di tipo semipresidenziale", elaborato dal prof. CIAURRO;
- il secondo, indicato come "modello fondato sull' elezione diretta del Primo Ministro", redatto dal prof. GALEOTTI.

I due modelli si differenziano sostanzialmente perché il primo, quello "semipresidenziale" di CIAURRO, è ispirato al sistema presidenziale francese: prevede cioè un Presidente eletto direttamente dal popolo e un Presidente del Consiglio che deve avere la fiducia delle Camere.
Il secondo, invece, quello "del Primo Ministro", proposto dal prof. GALEOTTI, è finalizzato a riproporre in Italia, per via "normativa", il "modello Westminster" che in Inghilterra si è affermato in via di prassi: un modello secondo il quale i partiti si presentano alle elezioni indicando già chi sarà il Presidente del Consiglio della coalizione , se questa vincerà le elezioni.

D2. I rapporti Stato - Regioni - Autonomie locali: i due modelli del Comitato Speroni
Le proposte del Comitato Speroni sono assai difficili da valutare anche per quanto riguarda il rapporto fra lo Stato e le Regioni, da un lato; le Regioni e il sistema delle autonomie locali, dall'altro.

Invece di sciogliere, come ci si sarebbe potuti aspettare, le ambiguità della nostra Costituzione affermando decisamente il prevalere delle Regioni anche rispetto agli altri enti a competenza territoriale limitata, questo progetto riconferma le garanzie costituzionali oggi assicurate a Comuni e Province.

In questo modo si adotta uno schema che qualcuno tenta di "nobilitare" come "federalismo delle autonomie" ma che in realtà altro non è che la conservazione dell' attuale sistema delle autonomie locali in contrapposizione a un'evoluzione in senso decisamente regionale dell'ordinamento.

D2.1 Le conseguenze dei due modelli sulla composizione del Senato
Del resto la contrapposizione fra il modello basato su elementi "forti" di "regionalismo" e quello indicato come "federalismo delle autonomie" emerge con tutta evidenza nella parte in cui si ipotizzano due diverse, e alternative, composizioni "possibili" del Senato.

- Secondo una prima proposta di modifica dell' art.57 Cost., infatti, il Senato dovrebbe essere composto per una metà di membri rappresentanti delle Regioni e per una metà di membri rappresentanti dei Comuni e delle Province.
Le Regioni avrebbero un numero di rappresentanti variabile a seconda del numero dei loro abitanti, mentre nell' ambito di ciascuna Regione Comuni e Province avrebbero un numero di rappresentanti pari a quello della Regione.

- In base alla seconda proposta, contenuta anche questa nel progetto del Comitato ma ispirata al sistema tedesco, il Senato sarebbe invece composto soltanto da membri dei Governi Regionali .
I rappresentanti delle Regioni avrebbero il diritto di esprimere un numero di voti pari a quello assegnato alla Regione di appartenenza, secondo un meccanismo che attribuisce tre voti alle Regioni più "piccole" per numero di abitanti fino ad assegnare un massimo di nove voti a quelle che superano gli otto milioni di abitanti.
Come si comprende bene, di fronte a ipotesi fra loro così diverse e in qualche modo "opposte", diventa assai difficile esprimere un giudizio ragionato.

D3. La ripartizione delle competenze legislative nella proposta del Comitato Speroni

A conclusioni non differenti conduce l'esame del progetto Speroni nella parte in cui si individuano i criteri di ripartizione delle competenze legislative e amministrative fra Stato, Regioni e Autonomie locali.

Sul piano della ripartizione delle competenze legislative, infatti, il progetto, riservando allo Stato solo quelle "enumerate" ,appare ispirato a un forte rafforzamento del ruolo delle Regioni.
Lascia molto perplessi, tuttavia, il fatto che, di fronte a una così ampia attribuzione di competenze alle Regioni, lo Stato resti privo di ogni potere di "condizionamento " del legislatore regionale, fosse anche solo per assicurare il mantenimento di quel "minimo di assetto omogeneo" che persino il modello Miglio considera meritevole di tutela.
In sostanza, sul piano delle competenze legislative regionali l' ipotesi proposta è assai più "separatista" del sistema tedesco.
Il che, anche tenendo conto delle oscillazioni già ricordate tra l'ipotesi del "regionalismo forte" e quella del "federalismo delle autonomie", lascia davvero perplessi.


D4. La ripartizione delle competenze amministrative nelle proposte del Comitato Speroni

Per quanto riguarda le competenze amministrative, invece, il progetto attribuisce totalmente alla legge statale il potere di ripartire "tra Regioni, Province, Comuni ed altri enti locali le funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa regionale, secondo il criterio di sussidiarietà".

Peraltro, "le funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato possono, con legge dello Stato, essere delegate alle Regioni, alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali".
Tutto questo significa che, per quanto riguarda il sistema della ripartizione delle funzioni amministrative, si adotta un modello ancor più "statocentrico" di quello attualmente previsto. Infatti in questa ipotesi, sia pure nel rispetto del principio di sussidiarietà, anche le competenze amministrative regionali sono definite totalmente dalla legge dello Stato .

D5. Le attività sovranazionali delle Regioni nelle proposte del Comitato Speroni

Non meno rilevanti sono le contraddizioni che caratterizzano il modello complessivo in virtù delle indicazioni avanzate in materia di attività sovranazionale delle Regioni.

Su questo piano le proposte sono assolutamente "aperte" e tali da consentire un rilevante ruolo internazionale delle Regioni.

Si prevede, infatti, che le Regioni possano stipulare accordi con altri Stati o con enti territoriali di altri Stati, limitandosi a chiedere l'assenso del Governo centrale: assenso che comunque, trascorsi due mesi dalla richiesta, si intende dato.

Si prevede, inoltre, che nelle materie di loro competenza le Regioni possano partecipare anche alla formazione degli atti della Unione Europea e che, comunque, ad esse spetti dare attuazione alle direttive comunitarie.
Si tratta dunque di una normativa assai avanzata e ispirata a una prospettiva "fortemente regionalizzata", secondo una logica che appare oggettivamente poco compatibile con le restrizioni che caratterizzano invece altre parti del progetto per quanto riguarda poteri e competenze delle Regioni.



D6. Il sistema finanziario e fiscale nelle proposte del Comitato Speroni

Per quanto riguarda il modello finanziario, l'innovazione proposta consiste nel fatto che alle Regioni, alle Province e ai Comuni spettano, oltre ai tributi propri, anche quote del gettito dei tributi erariali prodotte sul proprio territorio.

Ulteriori trasferimenti statali devono essere limitati, per le Regioni, a compensare le eventuali minori capacità fiscali o a promuovere il riequilibrio delle aree meno favorite.
Per i Comuni e le Province i trasferimenti statali devono essere commisurati soltanto alla necessità di assicurare i servizi essenziali su tutto il territorio nazionale.

D7. La forma organizzativa delle Regioni nelle proposte del Comitato Speroni

Per quanto riguarda, infine, la forma organizzativa delle Regioni, il Comitato Speroni delinea una forma di governo "uniforme" e, così come già oggi è previsto, "costituzionalmente determinata".
Il che implica un significativo, quanto inaspettato, "passo indietro" rispetto alle conclusioni della Commissione Bicamerale e alla stessa proposta di legge di revisione costituzionale presentata, proprio in ordine alle modifiche all' art.122 Cost., dalla maggioranza di governo nel luglio 1994.

D8. Qualche prima conclusione

In conclusione, anche tenendo conto dei profili esaminati negli ultimi due punti (D6. e D7.), il progetto del Comitato Speroni appare davvero difficile da comprendere.

Esso si configura assolutamente "chiuso" sotto diversi profili e in particolare:
- per l'uniformità della forma di governo regionale;
- per il trasferimento statale come perno del finanziamento delle Regioni, delle Province e dei Comuni .

Per altri aspetti, invece, esso appare persino più avanzato di quello tedesco nel senso di un "forte" federalismo :
- sono su questa linea, in particolare, i limiti ai trasferimenti statali di tributi non riscossi sul territorio delle Regioni, delle Province e dei Comuni.
In sostanza, sia con riferimento alla parte relativa alla forma di governo dello Stato centrale sia nella parte che riguarda l' articolazione regionale dell'ordinamento, il progetto del Comitato Speroni appare ricco di ambiguità e suscettibile di diverse, e anche contrapposte, ipotesi di attuazione.
Non è possibile dunque esprimere un giudizio "univoco" su questo testo se non limitandosi a sottolineare che esso presenta alcuni spunti di grande interesse e di significativa evoluzione dell'ordinamento. Spunti, peraltro, che coesistono con aspetti che paiono invece tutti orientati a ricercare un compromesso ad ogni costo fra le "ragioni dell'esistente" e le "suggestioni della riforma".

 

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E. La Commissione Maroni

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Per completare l'analisi dei progetti di riforma elaborati nel corso di questi mesi è opportuno fare qualche cenno anche ai lavori della Commissione Maroni.

Come si è già detto, si indica con questo nome il Comitato di studio per la riforma delle Regioni e della autonomie locali istituito dal Ministro MARONI nel luglio del 1994 e che ha tenuto la sua ultima seduta il 21 dicembre 1994, pochi giorni prima che il Governo BERLUSCONI si dimettesse.


E1. I limiti del mandato della Commissione Maroni


La Commissione Maroni si è posta in una prospettiva molto meno ambiziosa del Comitato Speroni.
Essa, infatti, nel rispetto del mandato del Ministro e del vincolo posto dallo stesso decreto istitutivo, ha operato "a Costituzione vigente"; ha assunto, cioè, la normativa costituzionale come un limite "rigido" alla propria attività propositiva.
L'obiettivo della Commissione Maroni, divisa in due sotto-comitati (Sottocomitato Ordinamento e Sottocomitato Finanza), è stato dunque quello di individuare un possibile modello di riforma operando:
- per la normativa ordinamentale, attraverso proposte di eventuali modificazioni alla l. 142 del 1990 e alla l. 81 del 1993;
- per la parte fiscale e finanziaria, attraverso ipotesi di modificazione della legislazione finanziaria.

E2. Le due diverse ipotesi "strategiche" presenti all'interno della Commissione Maroni

Di fatto, nella Commissione Maroni si sono scontrate due diverse "ipotesi strategiche" di riforma, ripetendo in tal modo una vicenda che da più di venti anni caratterizza ogni discussione in materia di Regioni, Province e Comuni.
E2.1. L' ipotesi "regionalista

Una prima ipotesi, che può essere definita come "regionalista", è quella che tende a:
- 1) enfatizzare il ruolo delle Regioni nel distribuire le competenze ai Comuni e alle Province;
- 2) consentire alle Regioni di legiferare anche in materia di ordinamento degli enti territoriali, riducendo a pochi "limiti" stabiliti dallo Stato gli eventuali "elementi uniformanti" del sistema delle autonomie locali;
- 3) attribuire alle Regioni poteri incisivi anche in ordine alla definizione delle risorse a disposizione del sistema degli enti territoriali;
- 4) scontare una non marginale possibilità di ordinamenti locali differenziati nell'ambito dei diversi ordinamenti regionali;
- 5) imporre alle Regioni il rispetto del principio di sussidiarietà, configurato come l' obbligo di assegnare comunque a Comuni e Province le competenze amministrative, anche regionali, che meglio possono essere esercitate nell'ambito territoriale di questi enti.

E2.2. L'ipotesi legata alla valorizzazione delle "autonomie locali"

Una seconda ipotesi è quella basata sulla valorizzazione del "sistema delle autonomie locali" inteso come sistema complesso e articolato.

Questo modello, più tradizionale e più vicino al modo col quale l'ordinamento locale è stato "costruito" in questi ultimi venti anni, vuole mantenere:
- 1) una sfera di autonomia dei Comuni e delle Province garantita dalla legge dello Stato, e quindi sottratta ad ogni potere regionale di attribuzione;
- 2) la competenza statale in materia di ordinamento di Comuni e Province, per difendere il "valore" del principio di uniformità di questi enti su tutto il territorio nazionale;
- 3) l'attribuzione di un "potere di differenziazione" soltanto agli stessi Comuni e Province, col conseguente riconoscimento della fonte statutaria e regolamentare come fonte propria di questi enti, limitata dalla sola legislazione statale e sottratta ad ogni intervento della Regione;
- 4) la competenza statale in materia di disciplina del sistema finanziario e tributario degli enti locali;
- 5) la esclusiva competenza statale in ordine alla applicazione del principio di sussidiarietà nella distribuzione di competenze fra i diversi livelli di governo.
Il principio propugnato è in sostanza il seguente: spetta allo Stato lasciare ai Comuni e alle Province quello che, secondo il principio di sussidiarietà, inteso come affidamento delle funzioni al livello di governo il più possibile vicino ai cittadini, spetta a questi enti .


E3. Una riflessione

La Commissione Maroni si è trovata di fronte, dunque, a una problematica tanto divaricata e divaricante quanto perfettamente riconducibile al tradizionale scontro fra "regionalisti" e "localisti".

Problematica questa assolutamente analoga a quella che, come si è detto , ha segnato anche i lavori del Comitato Speroni, conducendo alle contraddizioni che caratterizzano le proposte da essa fatte in materia di Regioni, Province e Comuni.

 

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3. Qualche conclusione sui diversi progetti esaminati

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E' possibile ora, al termine di questa lunga analisi sui progetti presentati negli ultimi due anni, formulare qualche considerazione di carattere più generale.
A. Le contraddizioni "interne" dei diversi progetti
Una prima considerazione è che tutti i progetti esaminati, anche quelli più "organici", sono caratterizzati da significative contraddizioni interne.
Inoltre tutti i progetti sono orientati più a modificare, anche in misura "forte" , il sistema politico e la forma di governo dello Stato centrale, che non a introdurre "significativi e reali elementi di federalismo".

B. La differenza fra il progetto della Commissione Bicamerale e gli altri modelli

Una seconda considerazione è che, malgrado le molte iniziative di questo ultimo anno, tuttora il progetto "organico" più nettamente orientato verso una effettiva regionalizzazione dello Stato, resta quello messo a punto dalla Commissione Bicamerale per le Riforme istituzionali della scorsa legislatura.

Il progetto Miglio, infatti, per quanto indubbiamente molto "organico" e "complesso", appare in realtà orientato più a "superare la organizzazione in forma di Stato della Nazione Italiana" che non a delineare una forte regionalizzazione dello Stato.
Il progetto del Comitato Speroni, dal canto suo, appare, invece, oggettivamente disorganico e carico di diverse e contraddittorie potenzialità.
Considerazioni analoghe valgono per il progetto della Lega Nord.
Quanto alla Commissione Maroni, infine, essa dichiaratamente si è collocata su un piano diverso, escludendo dal suo orizzonte ogni ipotesi di riforma costituzionale.


B1. Il tentativo della Commissione Bicamerale di promuovere le riforme per arginare la crisi del sistema
Il fatto che proprio la Commissione Bicamerale abbia elaborato il progetto tuttora più seriamente organico dimostra che essa ha davvero creduto nella necessità di avviare incisive riforme costituzionali per arginare l'imminente collasso, poi verificatosi, del sistema politico italiano.
Altrettanto importante è poi che quella Commissione abbia individuato proprio in una forte "regionalizzazione" del sistema una risposta essenziale alla richiesta di innovazione posta, con sempre maggiore forza, da un Paese che si avviava ormai alla crisi politica che segnò la fine di quella legislatura.


C. Le contraddizioni del Comitato Speroni e della Commissione Maroni
La terza osservazione riguarda il fatto che tanto il Comitato Speroni quanto la Commissione Maroni, pur operando in scenari diversi e avendo quindi vincoli e limiti differenti, hanno dovuto misurarsi con una identica, irrisolta e, nel dibattito italiano, costantemente presente contraddizione fra la posizione "regionalista" e quella "localistica",.
Proprio in quella contraddizione, del resto, sta la ragione principale del l'obbiettiva incapacità, dimostrata dall' uno e dall' altro "gruppo", di elaborare un progetto "organico" di regionalizzazione dello Stato chiaramente definito e sufficientemente univoco.

C1. Le cause di queste contraddizioni: ipotesi e "insegnamenti"
E' giusto chiedersi perché questo sia avvenuto.

Taluno potrebbe, infatti, ritenere che quanto è accaduto sia in realtà la spia che non vi è tuttora nel nostro Paese un orientamento davvero maggioritario a favore di una trasformazione dell'ordinamento in senso federale o regionale.

Altri potrebbero, invece, ritenere che tutto questo sia la riprova del permanere di resistenze fortissime a ogni autentico tentativo di riforma.
Il Paese sarebbe cioè paralizzato da una lotta fra "conservatori" e "innovatori" che segnerebbe profondamente il nostro orizzonte istituzionale e politico.

In ogni caso si deve registrare che, mentre nella Commissione Bicamerale la necessità stessa di dare una risposta a una crisi di sistema aveva condotto a superare le resistenze in ordine alla forma di Stato, nel Comitato Speroni e nella Commissione Maroni, a transizione ormai profondamente in corso, gli ostacoli sono venuti proprio dalla difficile conciliabilità delle diverse posizioni in ordine al rapporto tra Stato, Regioni, Province e Comuni.
Il che riconferma, anche da questo punto di vista, la necessità di interrogarsi a fondo se la nostra cultura politica e istituzionale sia davvero matura per una incisiva trasformazione dello Stato in senso regionalista o se, invece, il grado di maturazione del dibattito non sia sostanzialmente così arretrato da richiedere ancora una fase, non breve, di discussione e di messa a punto delle rispettive posizioni.
Vi è, infine, un' altra osservazione già fatta che merita di essere richiamata:
quella cioè che sottolinea la maggiore "positività" oggettiva del progetto della Bicamerale rispetto a quelli di carattere più "scientifico-tecnocratico", studiati a tavolino da esperti come i professori MIGLIO (progetto Miglio) e ORTINO (progetto Lega Nord).
Come si è già detto proprio questo aspetto deve essere tenuto ben presente oggi, in un momento nel quale non manca chi, come Sergio Romano immagina di individuare in un'Assemblea Costituente composta prevalentemente da tecnici, una utile via di uscita dalle contraddizioni del processo riformatore in atto.
C.2 L'"insegnamento" più importante.

La questione, probabilmente, non è tanto quella della validità tecnica delle possibili ipotesi di riforma ( anche se questo è certamente un aspetto importante) quanto quello di un seria e approfondita discussione sugli sbocchi più utili al caso italiano.
Poiché chi scrive è convinto che una forte accentuazione dell'articolazione regionale del nostro ordinamento sia non solo opportuna ma anche necessaria, l'auspicio è che quando di questi temi si tornerà a parlare sia possibile farlo usando almeno un linguaggio e un sistema concettuale condiviso.
Si chiude qui il "cerchio" di questa riflessione: l'analisi dei progetti è certamente utile e necessaria; ancora più importante è però verificare se i criteri proposti si siano dimostrati utili per saggiare le diverse proposte e compararle fra loro.
Se la risposta potrà essere anche solo in parte positiva, lo sforzo qui compiuto non sarà stato inutile.

Pubblicato in Le regioni, n.2, 1995
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